Se la quarta stagione di Black Mirror alterna episodi di altissimo livello ad altri perfettibili, la puntata che lo showrunner Charlton Brooker decide di proporre come chiusura della stagione rappresenta non solo la più alta vetta di questo quarto ciclo, ma forse la più ambiziosa storia raccontata nel corso dell’intera serie.
UNA PUNTATA STRAORDINARIAMENTE AMBIZIOSA SU UN ‘MUSEO DEL MALE’
Black Museum (questo il titolo della 4×06) con i suoi 68 minuti è a tutti gli effetti un vero film in cui Brooker non solo si diverte a sperimentare con spunti tematici straordinariamente interessanti – ognuno dei quali avrebbe potuto meritare una puntata a sé – ma riesce a imbastire una struttura narrativa labirintica nella quale, ancora una volta grazie all’espediente della mise en abîme, trovano spazio quattro diverse linee narrative (una delle quali sussume le altre, in modo analogo a quanto già visto nell’episodio del 2014 White Christmas, che in parte viene anche citato).
Letitia Wright (Shuri in Black Panther) è la visitatrice di un’inquietante mostra che ha luogo in un’isolata struttura al fianco di una pompa di benzina sperduta nel deserto. Nel Black Museum il poco raccomandabile Rolo Haynes (il Douglas Hodge di The Night Manager e Penny Dredful) raccoglie una serie di oggetti collegati a crimini passati («se ha contribuito a fare del male, ci sono buone probabilità che sia qui»), tra i quali presto gli spettatori riconosceranno un’infinità di rimandi agli episodi passati della serie.
Rolo Haynes però non si limita a collezionare quegli artefatti, ma forse è in qualche modo legato a ognuno di essi; ne conosce la storia e sa essere un’ottima guida per i visitatori della sua struttura. È così che, narrando gli eventi dietro gli oggetti in mostra, l’uomo introdurrà un racconto sul dolore fisico, uno sul trasferimento della coscienza e uno sulla possibilità di sopravvivere alla morte.
UNA VIRATA NETTA: DALLA CRITICA SOCIALE SI PASSA ALL’HORROR
Con Black Museum Brooker spinge più che mai sui toni horror, quasi trasportando la serie su un binario parallelo per trasformarla in un prodotto profondamente diverso. Pur trattando la tematica dell’impatto pericoloso della tecnologia sulle nostre vite, per la prima volta lo sceneggiatore sembra infatti disinteressato a una critica sociale propriamente detta, ricorrendo invece alle possibilità narrative offertegli dal soggetto per sondare gli abissi dell’animo umano e trascinarvi lo spettatore.
Quella orchestrata da Charlie Brooker è una macchina narrativa a orologeria, tanto geniale quanto caratterizzata da un climax inarrestabile, che più che mai sembra guidata dalla scrittura dei personaggi, dalla loro individualità piuttosto che dal loro esser parte di un contesto sociale. Delle montagne russe emotive che, complice il sapiente montaggio che ci porta dentro e fuori dal Black Museum, indietro e poi di nuovo avanti nel tempo, tiene lo spettatore incollato allo schermo (lasciandolo anche desideroso di scoprire molto più di quanto non venga effettivamente mostrato).
ROLO HAYNES E LE SUE ‘LEGGENDE’ SONO UN INSTANT CLASSIC
Se la puntata 4×06 di Black Mirror è così riuscita è anche per merito della sicura presenza dietro la macchina da presa di Cold McCarthy, che oltre ad aver diretto numerosi episodi di Peaky Blinders ha pure firmato la regia del notevole La Ragazza Che Sapeva Troppo (pluripremiato all’estero e da noi distribuito come originale Netflix).
La peculiare struttura dell’episodio, unitamente al tono particolarmente cupo e moralmente torbido del lungometraggio, dà alle storie rievocate dal protagonista il sapore misterioso delle leggende, proponendo al contempo un comune denominatore che – per la prima volta – collega tra loro molti degli episodi passati della serie.
Tale trait d’union è proprio l’ambigua e viscida figura di Rolo Haynes, portata magnificamente in scena da Hodge con una performance magnetica e, una volta sullo schermo, immediatamente iconica, archetipica, tanto affascinante da lasciarci col desiderio di incontrare il personaggio ancora infinite altre volte.
UNA PUNTATA CHE PROMETTE DI AVERE UN PESO FONDAMENTALE PER LA SERIE
Considerata non solo la natura ambiziosa della puntata ma anche il grande investimento creativo fatto da Brooker in Black Museum (come vi abbiamo già detto, con il materiale usato in questi 68 minuti avrebbe potuto girare almeno tre episodi straordinari), ci sentiamo di dire che dietro un tale sforzo c’è la volontà di lasciare un segno nella serie.
Difficile interpretare oggi le intenzioni dello showrunner, ma ormai è evidente che più si va avanti con Black Mirror più – inevitabilmente – le idee finiscono per ripetersi, le sferzanti critiche per perdere di novità e lo stupore per affievolirsi. Non si sa ancora se Netflix rinnoverà la serie per una quinta stagione, ma quel che è certo è che la puntata Black Museum potrebbe perfettamente avere la forza di un magnifico finale di serie, così come invece (o al contempo) potrebbe lanciare una serie spin-off dai toni più horror, magari intitolata proprio come la puntata.
Non abbiamo nessun dispositivo ipertecnologico capace di predire il futuro, ma di certo sappiamo che quella di Rolo Haynes è una figura troppo iconica per non farci desiderare di incontrarla di nuovo, magari indagandone il passato.
A Brooker e a Netflix possiamo dire solo una cosa: «Monkey loves you». Mentre un brivido agghiacciante ci percorre la schiena.
VI CONSIGLIAMO DI RISPETTARE L’ORDINE DELLE PUNTATE STABILITO DA BROOKER E VEDERE BLACK MUSEUM PER ULTIMA: IN QUESTO MODO POTRETE COGLIERE TUTTE LE CITAZIONI