Un uomo, un orco e un elfo entrano in un bar. No, non è l’inizio di una barzelletta, ma una scena di Bright, il nuovo blockbuster di David Ayer (Suicide Squad) con Will Smith, che non è uscito in sala ma direttamente su Netflix, visibile gratuitamente per tutti gli abbonati al web service.
La storia è quella di due poliziotti, compagni di pattuglia (l’umano Smith e il mezz’orco Joel Edgerton), che si imbattono in un’elfa in fuga. La ragazza, che avendo doti magiche è una ‘bright’, porta con sé una potentissima bacchetta magica che sta tentando di sottrarre ai malvagi ‘inferi’ al fine di scongiurare l’evocazione di un’entità arcana capace di portare morte e distruzione. I tre uniranno così le proprie forze, cercando di salvare il mondo e finendo per ritrovarsi all’interno di una profezia.
UN INVESTIMENTO DETTATO DAI BIG DATA
A dispetto dell’eccentricità della premessa, la scelta di unire il mondo fantasy a un contesto da poliziesco urbano è estremamente originale e interessante. Un progetto ad alto budget non basato su una proprietà intellettuale già familiare al pubblico (come potrebbero essere un cinecomic o un sequel), e per questo quasi impossibile da vedere in sala. “Un film reso possibile dalla libertà data da Netflix agli autori”, ha detto un Ayer ancora scottato dal pessimo risultato critico del suo cinecomic DC con Harley Quinn, e in effetti la scelta di investire 90 milioni di dollari in un progetto così rischioso sembra a dir poco avventata anche per il web service di Los Gatos.
Netflix però non fa investimenti alla cieca, ma anzi è guidata dall’enorme mole di big data che può ricavare dalle abitudini di consumo dei propri clienti. Se il progetto di Bright (per cui la piattaforma ha già garantito un sequel) è stato presentato come un pacchetto già completo, le sue caratteristiche corrispondono in modo sorprendentemente preciso a quello che vogliono gli spettatori del servizio: un thriller poliziesco ma anche un blockbuster effects-driven con un attore di prima fascia e un soggetto fresco e inusuale.
UN POTENZIALE STRAORDINARIO SFRUTTATO SOLO PARZIALMENTE
Se gli elementi di Bright sono tanto originali da suscitare il nostro interesse, il modo in cui sono amalgamati è decisamente meno apprezzabile. Il film in realtà è di gran lunga migliore di molti altri progetti ad altissimo budget visti quest’anno in sala, e l’accanimento della critica statunitense – che non ha lesinato punteggi vicini allo 0 – è a dir poco ingiustificabile. Detto questo, la pellicola è però ben lontana dal potersi dire riuscita.
La regia di Ayer è in realtà piuttosto convincente, soprattutto nel gestire le scene d’azione, ma a mostrarsi sbilanciato è lo script di Max Landis (Victor, American Ultra, Chronicle), che ha comunque richiesto un cachet da 3 milioni di dollari per il proprio copione (contratto tra i più redditizi visti da uno sceneggiatore a Hollywood negli ultimi tempi). Se la premessa di sviluppare il concept del classismo della società americana unendolo agli stereotipi della letteratura fantastica è promettente, il risultato finisce per essere uno scialbo abbozzo privo di epica e caratterizzazione: gli umani sono la classe media, gli orchi sono i neri del ghetto e gli elfi l’alta borghesia. Un approccio decisamente troppo semplicistico e troppo poco affascinante per reggere il confronto con le attese suscitate da una produzione tanto importante, che non riesce a risultare compiutamente convincente nemmeno quando si alza la posta emotiva con l’espediente della profezia – ottimamente concepito ma realizzato con toni troppo modesti.
IL PROBLEMA DI NETFLIX È LA FILIERA PRODUTTIVA TROPPO PERMISSIVA
Una delle costanti nello zeitgeist della critica contemporanea è la critica alle ingerenze degli studios sul lavoro creativo degli autori: registi e sceneggiatori vengono pilotati in modo sempre più invasivo dagli executive della produzione, e il commento più frequente a riguardo è che un tale asservimento dell’arte all’industria sia un segno della decadenza di un cinema sempre più commerciale.
Se è vero che la libertà degli autori è la vera scintilla della settima arte, dobbiamo però anche osservare che tale ingerenza è direttamente proporzionale all’investimento economico su progetti market-oriented, e che purtroppo non tutti i cineasti Hollywodiani possono propriamente dirsi artisti: sovente sono ‘solo’ solidissimi mestieranti, più o meno blasonati.
La presenza quasi assillante dei produttori, la supervisione dei giornalieri, il ricorso frequente ai test-screening e la guida di chi è abituato a gestire grossi budget ha sì una sgradevole funzione normalizzatrice, ma risulta spesso fondamentale per il labor limæ che contribuisce in modo essenziale a perfezionare un’opera cinematografica destinata al grande pubblico.
Dalle parti di Netflix le maglie di questa filiera sono molto più larghe, si sa, eppure viene il dubbio che nell’ambito dei blockbuster un approccio meno permissivo agli autori (soprattutto se alle spalle hanno anche diversi insuccessi) potrebbe aiutare a individuare per tempo quei problemi che altrimenti saranno evidenti a pubblico e critica a distribuzione avvenuta.
IL RECORD DI VISUALIZZAZIONI IN CONFRONTO A STAR WARS, STRANGER THINGS E GAME OF THRONES
Se il risultato di Bright è imperfetto, ciò non impedisce comunque al film di Ayer di avere uno straordinario successo. Si sa, i dati di Netflix non sono pubblici e fino ad oggi nessuno era riuscito a misurarli in modo propriamente attendibile. Sembra però che il gigante statistico Nielsen si ora riuscito a trovare una metrica affidabile basandosi sui proxy, e che le cifre riguardanti il primo vero mega-investimento Netflix siano da far tremare le vene ai polsi.
Nei primi tre giorni Bright è infatti stato visto in America da 11 milioni di spettatori: all’incirca lo stesso numero di biglietti staccati per The Last Jedi in USA nell’ultimo week end; una cifra inferiore all’audience della première di Stranger Things 2 (15.8 milioni di visualizzazioni) ma decisamente superiore di quella di The Crown 2 (3 milioni) e quasi uguale a quella del finale di Game Of Thrones 7 (12 milioni). Un risultato che fa tirare un sospiro di sollievo in quel di Los Gatos e che conferma che la direzione intrapresa, seppur ovviamente bisognosa di considerevoli aggiustamenti, è quella giusta.
QUANTO VALE ECONOMICAMENTE BRIGHT PER NETFLIX?
Gli 11 milioni di spettatori nei primi tre giorni sul mercato domestico per Bright sono impressionanti, certo, e se applicassimo a questa cifra il costo medio dei biglietti cinematografici in America (8,93$ nel 3° trimestre) avremmo un week-end di apertura da 100 milioni di dollari. Il punto è che ovviamente Netflix non si regge su un modello di business tradizionale, dal momento che il poliziesco fantasy con Will Smith viene rilasciato ‘gratuitamente’ a tutti gli abbonati, e viene quindi da chiedersi come Netflix possa reputare una buona mossa spendere quasi 100 milioni di dollari per un paio d’ore di contenuti.
La chiave dietro gli investimenti dell’azienda di Hastings e Randolph può esser compresa solo se li osserviamo nel loro insieme, e sul lungo periodo. Netflix è tecnicamente in perdita, ma è tutto sotto controllo. Nonostante i 950 milioni di entrate mensili dagli abbonamenti e i 30 milioni dal noleggio DVD (per un totale di oltre 11 miliardi lordi di entrate annue), gli investimenti del web service sono così importanti da portare la bilancia economica in negativo. Al netto di tutti i costi tecnici di gestione della piattaforma, degli investimenti promozionali e delle retribuzioni del personale, la spesa per i contenuti originali ammonta a circa 8 miliardi all’anno, portando così le casse in rosso.
E NETFLIX COME TRAE GUADAGNI DA BRIGHT?
Se quindi Netflix spende più di quanto guadagna, dobbiamo aspettarci un fallimento a breve? L’azienda è guidata da un management dissennato? In realtà – ovviamente – no: il core business del web service è la varietà di contenuti costantemente rinnovati, ed è proprio questo ingrediente che permette di fidelizzare gli abbonati esistenti (portandoli a rinnovare ogni mese il pagamento) e a raggiungerne di nuovi. Titoli come Bright creano buzz, e cioè fanno parlare della piattaforma, convincendo nuovi utenti ad attivare un contratto. Con questo approccio, Netflix – che nel frattempo sta raggiungendo sempre più mercati internazionali – sta conseguendo una crescita organica di 5 milioni di nuovi abbonati a trimestre. Con un rosso di 2 miliardi dell’ultimo anno e un debito lordo di 4.8 miliardi di dollari, la piattaforma streaming sta semplicemente affrontando una fase di grandi investimenti – sostenibili – mirati alla crescita sul medio-lungo periodo.
NETFLIX DEVE CERCARE NUOVI EXECUTIVE?
Bright è un perfetto esempio della strategia Netflix, con i suoi punti di forza e di debolezza, e quel che sentiamo di augurarci in previsione di Bright 2 (la cui realizzazione è stata già commissionata alla Overbrook Entertainment di Will Smith) è che nel frattempo a Los Gatos trovino il modo di guidare i propri artisti, lasciandoli sì liberi di osare ma aiutandoli anche a realizzare prodotti capaci di non deludere le aspettative di critica e pubblico. Se i grandi studios puntano sempre più spesso su creativi non troppo noti al fine di farli affiancare da un comparto produttivo di grande esperienza, Netflix – che è arrivata da poco sullo scacchiere delle grandi produzioni – punta su autori esperti allentando la morsa, quando forse i veri talenti sui quali dovrebbe investire dovrebbero essere nel settore dirigenziale.
Fare buon cinema non significa inseguire a tutti i costi i gusti del pubblico, ma i blockbuster sono macchine estremamente complesse e quasi caotiche, nei cui meandri anche i registi e gli sceneggiatori più esperti rischiano di perdere la bussola. Trovare una guida aziendale sicura e lungimirante, capace di indicare una direzione alle società di produzione esterne cui già si ricorre in modo massiccio, potrebbe essere il modo migliore per avere grandi produzioni competitive non solo in termine di pubblico raggiunto, ma anche di qualità.