A Napoli «c’è un forte senso di morte, ma i napoletani ci giocano e la fanno diventare una cosa di cui non avere paura». Con queste parole il regista turco-italiano Ferzan Özpetek introduce una delle tematiche principali del suo nuovo film, Napoli Velata, il secondo del 2017 dopo il ben diverso Rosso Instanbul, uscito nelle sale il 2 marzo scorso.
Una sera ad un ricevimento Adriana (Giovanna Mezzogiorno) incrocia gli sguardi seducenti e provocatori di Andrea (Alessandro Borghi), un giovane attraente e sicuro di sé. Lei non riesce a sottrarsi a quella schermaglia sessuale e i due trascorrono così la notte insieme. L’incontro è però solo il punto di partenza di una storia che ci farà respirare una Napoli sospesa tra magia e sensualità, ragione e follia, nella quale un mistero avvolge l’esistenza della protagonista.
In Napoli velata coesistono due anime: una prospettiva individuale e corporea, e una collettiva e quasi metafisica. Sembrano a volte avvicinarsi in un gioco di seduzione e a volte perdersi, proprio come accade ai protagonisti della narrazione, e concorrono a definire quello che forse è il film più sfuggente della filmografia dell’autore de Le Fate Ignoranti. Una pellicola nella quale su un onnipresente senso del desiderio incombe un senso ineluttabile di fine e di inconoscibilità
Una delle linee narrative dello script firmato da Özpetek con Romoli e Santella concentra lo sguardo dello spettatore su una donna sconvolta da un avvenimento traumatico e inatteso, dal quale viene costretta a mettere in discussione la propria vita e a scavare nel suo passato, in una sorta di viaggio interiore intenso e tortuoso.
L’altra faccia della pellicola è invece sovrastata da una Napoli esoterica, dotata di un fascino misterioso che raramente vediamo raccontato sul grande schermo, nella quale vicoli e piazze compongono un labirinto che ci imprigiona. Così il lungomare Caracciolo, la vertigine della scala elicoidale di Palazzo Mannajuolo, gli arazzi polverosi e gli edifici austeri e aristocratici sono elementi che concorrono a consegnarci una quinta partenopea che vive di vita propria, nella quale ci imbattiamo in eventi sorprendenti come il teatro dei ‘femminielli’ e la ‘tombola vajassa’, in cui ogni numero estratto ha un significato legato alla ‘smorfia’ e, progressivamente, si lega agli altri in una sequenza logica che crea una storia. L’ordine che prende forma dal caos.
Napoli Velata – in coerenza con la filmografia di Özpetek – non si preclude divagazioni nel melodramma, ma al contempo ha una natura misteriosa, sospesa tra thriller e noir, che regge il proprio incedere sull’emozione, ricca com’è di avvenimenti, scoperta, colpi di scena.
Un tessuto narrativo tutt’altro che soddisfacente (sono molte le forzature e le incoerenze dello script) in cui però Giovanna Mezzogiorno si trova perfettamente a proprio agio, riscoprendo una carica sensuale che spesso non viene raccontata, mentre l’anima partenopea di buona parte del cast (da una splendida Bonaiuto a un Beppe Barra sempre istrionico) viene valorizzata senza alcun cliché e si rivela un elemento fondamentale di un’opera che Ozpetek ha voluto fortemente caratterizzare, distinguendola profondamente dai suoi precedenti lavori più noti ma non riuscendo sempre a liberarsi di alcuni vezzi (a molti indigesti) propri della sua filmografia.
Il film nasce dal periodo che il regista ha trascorso a Napoli per dirigere la sua Traviata al Teatro San Carlo; mesi che gli hanno fatto scoprire numerosi parallelismi con la sua città natale Istanbul e che lo hanno convinto ad ambientare lì quella storia. Se anche non ci troviamo di certo dinnanzi a un lavoro perfetto, vale la pena di vedere in sala Napoli Velata anche solo per riscoprire una delle nostre città più belle, troppo spesso svilita dall’attualità o dalla finzione, in tutto il suo fascino.