Miki e Sabu sono una giovane coppia che abita a pochi chilometri dalla centrale nucleare di Fukushima. La loro vita viene stravolta dal terremoto e dalla conseguente esplosione della centrale, esponendo entrambi alle radiazioni e costringendoli a trasferirsi a Tokyo. Miki scopre di essere incinta ma è terrorizzata dalla possibilità di dare alla luce un figlio deforme; tuttavia Sabu fa pressioni affinché lei non scelga l’aborto. Ad un certo punto però i ruoli si invertiranno.
Primo film in lingua giapponese di Kim Ki-duk, uscito nel 2015, Stop è stato presentato recentemente all’Asian Film Festival di Bologna. Quella di Fukushima è una tragedia che in Occidente è stata percepita marginalmente e dimenticata in fretta ma l’impatto che ha avuto sulla popolazione asiatica è stato enorme nonostante i tentativi di insabbiamento del governo giapponese. L’importanza culturale del catastrofico evento è testimoniata dalla grande influenza che ha avuto nella produzione di molti registi orientali: ad esempio, Sion Sono ha dedicato ben tre film alla vicenda (The Land of Hope, Himizu e The Whispering Star).
Kim Ki-duk torna dietro alla macchina da presa dopo One On One replicando gli intenti di denuncia del suo precedente lavoro (proseguendo poi con il bellissimo The Net nel 2016) e lo fa con un budget risicatissimo.
Il cinema di Kim è cambiato tantissimo negli ultimi anni diventando sempre più spoglio e affaticato, quasi a rappresentare la parabola discendente di un artista dalla carriera brillante. One On One è stato per molti il punto più basso raggiunto dalla filmografia del regista ed è in assoluto il film che più ha risentito della mancanza di fondi per la realizzazione. Tale povertà di mezzi è evidentissima anche in Stop, tanto che all’opera manca un vero direttore della fotografia (nella pellicola sono presenti alcuni errori davvero grossolani). Capita spesso di vedere l’ombra del regista sugli attori, le luci bruciate e le inquadrature traballanti: tutto ciò è davvero difficile da tollerare. Aver incantato Venezia e tutti i maggiori festival di cinema mondiali con film del calibro di Ferro 3 o Primavera, Estate, Autunno, Inverno… e ancora Primavera non basta a giustificare pellicole difficili o fastidiose da guardare, in nessun caso. A maggior ragione se il contenuto del lungometraggio è potente.
Stop nasconde dentro di sé l’ennesima riflessione profonda sull’uomo, sulle sue paure e sulle sue ossessioni. Miki e Sabu sono fidanzati, vivono assieme e stanno per avere un figlio ma tra di loro manca qualsiasi tipo di contatto. Sono entrambi insofferenti al dialogo, tanto che Sabu, incapace di mettersi in discussione, arriva a chiudere la bocca della fidanzata con del nastro adesivo per far valere la propria opinione. In tutto questo c’è anche spazio per la denuncia di un sistema – quello giapponese – che vuole minimizzare la tragedia nucleare a livello pubblico, mentre tenta di distruggere ogni tipo di prova entrando nelle vite private dei cittadini. È ciò che fa l’agente del governo giapponese quando intima a Miki di abortire: sta tentando di far scomparire ogni tipo di indizio sulla gravità di ciò che è avvenuto nei pressi della centrale di Fukushima dopo il terremoto e lo tsunami.
Il film ha anche un risvolto di tipo ambientalistico, con Sabu ormai segnato da quello che ha visto nel suo paese d’origine e deciso ad imbarcarsi in una guerra contro l’elettricità, andando ad attaccare gli elettrodotti di Tokyo in una battaglia che ricorda molto da vicino quella contro i mulini a vento di Don Chisciotte.
L’insieme di tutti questi elementi, uniti ad un finale che mette in mostra ancora una volta l’estrema crudeltà insita nell’uomo, rende Stop un film tecnicamente indecoroso che però riesce, in qualche modo, a far passare un messaggio molto sentito dal regista.