“È nella mia testa, certo non il miglior posto dove dovrebbe stare. Pertanto inizierò a scrivere il prima possibile e il prossimo anno inizieremo a girare.” Le parole di Steven Knight, showrunner di Peaky Blinders, mettono subito in guardia i fan più accaniti: il prodotto di BBC Two tornerà in onda solo nel 2019 (lo stesso network ha dato la conferma attraverso il suo profilo ufficiale Twitter). Se il rinnovo era già dato per scontato (nel maggio 2016 infatti l’emittente pubblica inglese aveva ordinato ben due stagioni), ora il futuro della serie appare incerto: l’anno prossimo assisteremo alla final season? Le premesse per la conclusione dello show sembrano esserci tutte: mai come quest’anno Tommy Shelby e i suoi sodali sono stati così in pericolo e, considerando quello che è successo nell’ultima puntata, il gioco al rialzo del carismatico gangster interpretato da Cillian Murphy è il più ambizioso (e potenzialmente controproducente) della sua carriera criminale.
I PEAKY BLINDERS AFFRONTANO L’AVVERSARIO PIÙ TEMIBILE: LA MAFIA
Dopo il loro arresto, Arthur (Paul Anderson), John (Joe Cole), Polly (Helen McCrory) e Michael (Finn Cole) rischiano la pena capitale per impiccagione ma Tommy (Cillian Murphy) riesce ad intervenire in tempo per salvarli. Dopo un salto temporale che ci porta nel 1925, vediamo che Tommy è diventato un Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico ma il rapporto con i suoi familiari sembra essere compromesso fino a quando un nuovo pericolo minaccia l’incolumità degli Shelby: il mafioso Luca Changretta (Adrien Brody) è arrivato direttamente dagli States per vendicarsi dell’assassinio del padre (ucciso da Arthur). La forza militare degli italo-americani è notevole, tuttavia commettono il grosso errore di sottovalutare le risorse dei Peaky Blinders…
UNO SHOW GRANDIOSO CHE DOVREBBE OSARE DI PIÙ
Dopo il cliffhanger dello scorso anno e l’emozionante première (dove assistiamo all’assassinio di John, uno dei personaggi più influenti della gang), la quarta stagione, disponibile in Italia su Netflix dal 29 dicembre, mette a nudo tutte le debolezze degli Shelby: le frizioni familiari minacciano la stessa sopravvivenza dei Peaky Blinders e Tommy, leader indiscusso, ne è ben consapevole. Nonostante le scelte strategiche moralmente discutibili che ha dovuto compiere nel passato (anche a danno dei suoi cari), il boss si rende perfettamente conto che l’unico modo per poter contrastare la temibile organizzazione mafiosa è quello di ricompattare il fronte interno (a costo di lasciare ulteriori strascichi). Steven Knight, con la preziosa collaborazione dell’esperto David Caffrey in regia, è molto bravo a trasmettere nel corso della stagione una sensazione opprimente di precarietà e vulnerabilità che, come mai prima d’ora, ha attanagliato il clan criminale di Birmingham, complice anche la presenza di un villain apparentemente imbattibile come Luca Changretta. Se Peaky Blinders nel 2016 si era distinto come uno show in continua evoluzione, in grado di procedere dritto per la sua strada senza compromessi, in questa occasione Knight decide di tirare il freno a mano: probabilmente la paura di scontentare la fanbase della serie è stata troppo forte ma lo sviluppo narrativo nella seconda parte di stagione delude per mancanza di coraggio.
LE CRITICITÀ DI UNA STAGIONE DI PASSAGGIO
Sia chiaro, il prodotto di BBC Two continua a distinguersi per la realizzazione impeccabile e per lo straordinario cast (ingredienti che la rendono, ad oggi, una delle serie inglesi più famose e apprezzate al mondo) però lo showrunner, che ama alla follia i suoi gangster, non li mette mai seriamente con le spalle al muro. Emblematica è la storyline di Changretta: in teoria il mafioso italo-americano ha il potere di uccidere tutti i membri dei Peaky Blinders quando e come vuole. Tuttavia permette a Tommy di prendere tempo e riorganizzarsi, scelta inspiegabile da parte di un uomo spietato che desidera vendetta. Inoltre la sua caratterizzazione non è del tutto convincente perché il premio Oscar Adrien Brody, pur avendo il volto giusto per il ruolo, interpreta il criminale in maniera eccessivamente macchiettistica.
L’ultimo episodio poi sintetizza alla perfezione l’approccio poco audace dello sceneggiatore: Knight riesce a creare il giusto pathos però, in fin dei conti, i Peaky Blinders escono sostanzialmente illesi da un confronto che sulla carta li vedevano nettamente sfavoriti (alcuni colpi di scena sono stati davvero banali e forzati) e, come al solito, Tommy continua la sua scalata verso il successo grazie al suo charme e alla sua intelligenza (copione già visto e rivisto). Anche la gestione dei personaggi secondari quest’anno non è stata da manuale: se l’uscita di scena di Alfie Solomons, il doppiogiochista ebreo impersonato dal grande Tom Hardy, è stata frettolosa ma facilmente prevedibile (i molteplici impegni cinematografici dell’attore londinese non lasciavano molti dubbi a riguardo), anche un nuovo character dal grande potenziale come Aberama Gold (Aidan Gillen, il Tommy Carcetti di The Wire e il Petyr Baelish di Game Of Thrones) è stato penalizzato da un minutaggio decisamente scarso.
Gli spettatori continuano a premiare la creatura di Steven Knight (la quarta stagione ha registrato ascolti record) ed è giusto che uno show straordinario come Peaky Blinders venga supportato, anche nel momento in cui appare meno brillante rispetto al solito. Lo scenario politico messo in piedi dall’autore britannico nel season finale rimette tutto in discussione, creando nuove soluzioni narrative promettenti (è difficile che Tommy possa cavarsela così facilmente all’interno dei palazzi del potere). Questa nuova svolta lascia presagire la volontà, da parte di Knight, di permettere alla serie inglese di proseguire quel processo di crescita che nel 2017 si è in parte bloccato.