Dieci puntate da un’ora, dieci capitoli di un’epopea cyberpunk la cui trama – sopratutto all’inizio – procede frenetica, tanto da richiedere una giusta decantazione tra un episodio e l’altro, un breve periodo di assimilazione come sarebbe necessario per un buon film. Altered Carbon non è una macchina da binge-watching quindi, eppure si impone sin dalle prime battute come la più colossale e ambiziosa serie mai prodotta da Netflix, uno di quei progetti con cui il web service di Los Gatos sembra volerci ricordare che ormai le barriere tra serialità televisiva e cinema (soprattutto in termini di sforzi produttivi) sono un ricordo del passato.
ALTERED CARBON VORREBBE DIVENTARE PER LA FANTASCIENZA QUEL CHE GAME OF THRONES È STATO PER IL FANTASY IN TV
Sono passati due secoli e mezzo dalla Battaglia di Stronghold, che ha segnato la sconfitta di un gruppo di supersoldati (the Envoys, gli Spedi) dei quali il protagonista Takeshi Kovacs è l’unico sopravvissuto. Per essere precisi ad essere sopravvissuta è la sua coscienza, dato che ci troviamo in un futuro in cui le identità degli esseri umani sono conservate su dei supporti chiamati DHF (Digital Human Freight, carichi umani digitali), che vengono installati sulla nuca di corpi che sono semplici involucri viventi (sleeves, custodie).
È proprio in un nuovo corpo (quello di Joel Kinnaman) che il protagonista viene risvegliato dopo un sonno criogenico plurisecolare, per scoprire che nel frattempo gli Spedi hanno avuto la peggio e sono passati alla storia come terroristi, mentre regna più forte che mai un regime multiplanetario noto come Il Protettorato.
A risvegliare Kovacs a Bay City (la vecchia San Francisco) è stato il miliardario Laurens Bancroft (James Purefoy), un Matusalemme che da oltre tre secoli beffa la morte trasferendo periodicamente il proprio DHF in custodie che sono copie clonate del proprio corpo. È proprio sull’ultima ‘reincarnazione’ che Bancroft richiede a Kovacs di indagare: la morte della sua custodia precedente è stata infatti causata da un omicidio di cui non si conoscono né colpevole né movente, e se il protagonista – inizialmente a dir poco riluttante – saprà risolvere questo giallo, riceverà ogni ricchezza o corpo desideri.
DA SHERLOCK A WESTWORLD, NETFLIX HA MESSO INSIEME UN INCREDIBILE TEAM DI TALENTI
La storia di Altered Carbon, della quale con questa premessa abbiamo appena scalfito la superficie, è tanto labirintica quanto affascinante, e ricalca quella dell’omonimo romanzo del 2002 di Richard K. Morgan (primo di una trilogia che comprende anche Broken Angels e Woken Furies).
La serie della sceneggiatrice e produttrice Laeta Kalogridis (autrice, tra gli altri, degli script di Shutter Island, Alexander, Terminator: Genisys e del prossimo Alita: Battle Angel) rappresenta per Netflix un investimento di tutto rispetto (il budget stimato è di 6/7 milioni di dollari a episodio – quindi inferiore a quello di The Crown – ma il risultato finale dà l’impressione di essere di gran lunga più costoso) ed è chiaro quanto la società di Hastings intenda puntare sulla proprietà.
La cura nella realizzazione di ogni componente dello show è impressionante: ad adattare il materiale di Morgan, insieme alla showrunner, troviamo sceneggiatori di Fargo (Steve Blackman), 22.11.63 (Brian Nelson) e Fringe (David H. Goodman) mentre a dirigere gli episodi c’è un team di registi non meno prestigioso, proveniente da Il Trono di Spade (Alex Graves e Miguel Sapochnik), Sherlock (Nick Hurran), Daredevil (Peter Hoar), The Punisher (Andy Goddard) e Orange Is The New Black (Uta Briesewitz). A dirigere la fotografia due soli nomi con 5 episodi ciascuno: il Martin Ahlgren di Daredevil e House of Cards e il Neville Kidd di Sherlock, mentre al montaggio troviamo Byron Smith, già editor per la prima stagione di True Detective.
Le interpretazioni del cast guidato da Kinnaman (Suicide Squad, The Killing, RoboCop, House of Cards) sono sempre di altissimo livello e tanto i VFX coordinati da Jonathan Smith (Westworld) quanto le musiche di Jeff Russo (Legion) e gli stunt di Larnell Stovall (Captain America: Civil War) contribuiscono a un risultato memorabile.
LA QUINTESSENZA DEL CYBERPUNK PER UNA STORIA RICCA DI AZIONE E COLPI DI SCENA
A prescindere dall’impressionante rosa di talenti dietro Altered Carbon, quel che colpisce è la forza della visione con cui la serie si appresta ad impattare sull’immaginario collettivo degli spettatori. Molte delle idee non sono in sé rivoluzionarie, certo, eppure è l’insieme delle componenti a rendere l’universo di Kovacs così incredibile eppure così familiare.
Se le buie strade piovose, in cui le luci sature e colorate dei neon si rifrangono tra plastica e fumi, riportano istantaneamente alla mente Blade Runner, le vette luminose ed eleganti dei grattacieli ricordano la società drammaticamente fratturata di Elysium, mentre gli augmented body citano Ghost In The Shell, la coltivazione dei corpi Matrix e l’idea di una coscienza meccanicamente registrabile Westworld. Tutto concorre insomma a creare un immaginario che si fa forte di ogni topos del cyberpunk, ma al contempo contribuisce a un futuro in cui la componente high-tech e militare si lega a suggestioni fantascientifiche più tradizionali, senza dimenticare coloriture che rimandano alla decadenza di un redivivo Edgar Allan Poe e del suo AI Hotel – che alla lontana omaggia John Wick.
Nonostante un forte radicamento nel sottogenere sci-fi, Altered Carbon è però molto più di un esercizio di stile, e utilizza le peculiarità di un universo così ingannevole e post-umano per costruire una narrazione di grande forza emotiva, sorretta da un’impalcatura complessa e pronta a offrire moltissimi spunti (e sorprese) anche nelle stagioni future.
In conclusione Altered Carbon rappresenta un connubio riuscito tra la spettacolarità dei migliori blockbuster e la capacità di immersione nella narrazione delle serie TV: un mix di grandi temi e ritmi serrati che rappresenta un altro, importante centro per la piattaforma californiana.