“Esistono grandi razze e piccole razze. (…) La popolazione dell’Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà è ariana. (…) È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti”. Probabilmente in pochi oggi si sentirebbero di sottoscrivere apertamente le agghiaccianti parole del Manifesto della Razza, che anticiparono le Leggi Razziali Fasciste del 1938, eppure in molti non avrebbero problemi a esprimersi con altrettanta nettezza (magari nascosti dietro qualche giro di parole) contro ogni nostro concittadino di religione islamica o di origine romaní – senza distinguere tra fondamentalisti e moderati, criminali e onesti. Se poi estendessimo il discorso al terreno spinoso dei profughi di guerra e dei migranti economici irregolari, le pulsioni nazionalistiche finirebbero quasi certamente per prevalere su ogni altro approccio.
Questo perché, soprattutto in tempi difficili (il riferimento è ovviamente alle criticità legate all’economia, alla sicurezza e alla ‘difesa’ delle identità culturali e religiose) ridurre il mondo a una scacchiera sulla quale contrapporre il ‘noi’ e il ‘loro’, nel quale generalizzare per assoluti anziché fare lo sforzo di interpretare la realtà nella sua grande complessità, è una tentazione che rischia di sedurre anche gli intellettuali più fini.
È proprio attraverso questo tipo di pulsioni che Sono Tornato cerca di restituire una lettura dell’Italia. Il ritorno di Mussolini è uno spunto narrativo brillante per offrire un punto di vista (quantomeno cronologicamente) terzo rispetto a un popolo deluso dalla democrazia incerta e corrotta che ha fatto succedere 63 governi in 70 anni, ma al contempo coglie quella propensione tricolore quasi atavica per un leader forte che arrogandosi la responsabilità di scelte radicali ci sollevi dal nostro diritto-dovere di cittadinanza attiva, trattandoci come infanti ma illudendoci al contempo con la lusinga della nostra presunta superiorità.
BENITO MUSSOLINI, LA STAR DEL 2018?
Se dalle colonne de Il Tempo Marcello Veneziani si era spinto a individuare in Benito Mussolini “l’uomo dell’anno” del 2017, Sono Tornato sembra portare questa discutibile provocazione al livello successivo.
Senza grandi preamboli, Mussolini (Massimo Popolizio) torna in vita nella Roma del 2018. Dopo un iniziale smarrimento, deriso come un folle o fermato per selfie da simpatizzanti che lo ritengono un artista di strada, il ‘Duce’ incontrerà l’aspirante documentarista Andrea Canaletti (Frank Matano), che, più divertito che critico, deciderà di portarlo in giro per l’Italia per riprendere le sue interazioni con i cittadini comuni. Mentre gli Italiani – salvo qualche rarissima eccezione – si lasceranno andare a confuse dichiarazioni xenofobe e a contraddittorie nostalgie dittatoriali, Canaletti approfitterà di questo miope divertimento intravedendo la possibilità di una svolta di carriera, mentre Mussolini sfrutterà la situazione per diventare un personaggio televisivo e riconquistare il favore del popolo al fine di far rinascere il regime fascista. Quando qualcuno (molto pochi, in realtà) comincerà a pensare che dare una crescente visibilità a un capopopolo violento e intollerante non sia un’idea particolarmente saggia, sarà troppo tardi: la pericolosissima seduzione dell’uomo forte sembrerà ormai aver avuto la meglio e la figura del dittatore sarà completamente riabilitata.
UNA COPIA DEL FILM TEDESCO LUI È TORNATO
La pellicola è un remake quasi pedissequo del tedesco Lui è tornato (qui la nostra recensione), adattamento del best seller letterario in cui Timur Vermes immaginava nel 2012 il ritorno di Hitler sul suolo germanico. Le modifiche adottate dallo script co-firmato dal regista Luca Miniero (già dietro il remake di Benvenuti al Nord) col grande talento Nicola Guaglianone (Lo Chiamavano Jeeg Robot, Indivisibili, L’Ora Legale, Benedetta Follia) sono minime ed emergono soprattutto nel finale.
La formula è sempre quella di un ibrido tra fiction, mockumentary e candid camera vere, in cui l’invenzione e il ritratto della realtà – nonostante qualche artificio in fase di postproduzione dell’immagine – diventano indistinguibili: un mix quantomai pericoloso in un momento storico in cui regna la post-verità e l’opinione pubblica è palesemente incapace nel distinguere vero e falso.
POPOLIZIO E MATANO: TALENTO E TALENT
La scelta di casting di Frank Matano rimane piuttosto misteriosa: se infatti è proprio con scherzi telefonici e demenziali candid camera su YouTube che il presentatore di Italia’s Got Talent ha iniziato a farsi conoscere, le sue doti attoriali non sono mai state sfidate dalle sparute commedie cinematografiche cui ha partecipato. Ora che al giovane performer campano viene offerta l’opportunità di mettersi davvero in gioco, è evidente che al suo talento da intrattenitore e improvvisatore non corrisponde alcuna capacità di trasformare le proprie lagne cantilenanti e monocordi in un’interpretazione drammatica, con il risultato che anche i momenti in cui lo script prova ad alzare la posta emotiva, lo spettatore desidera solo che Matano la smetta il prima possibile di ragliare. Se poi aggiungiamo che anche quando l’attore dovrebbe semplicemente tacere immobile fingendo di riprendere con una telecamerina, non fa che puntarla ai piedi dei propri interlocutori, è evidente che forse gli sketch in cui petava su degli sconosciuti abbiano rappresentato la vetta più alta della sua parabola artistica.
Se Matano è decisamente più convincente come presentatore televisivo che come attore, è evidentemente il grandissimo Massimo Popolizio a farsi carico di tutta la pellicola sulle proprie spalle. L’attore e doppiatore genovese offre una prova impeccabile, nella quale cerca di tenersi il più lontano possibile dalla macchietta per prediligere invece un ritratto spaventosamente umano del dittatore; teatrale ma credibile, respingente ma carismatico.
LA RINASCITA DELL’INTOLLERANZA E L’OBLIO DELLA MEMORIA
Mentre la pellicola tedesca si contraddistingueva per un fastidioso cerchiobottismo, dando continuamente l’impressione di voler contemporaneamente ammiccare tanto ai democratici quanto ai simpatizzanti neonazisti, con Sono Tornato, pur ripercorrendo da vicino lo script d’origine, Miniero e Guaglianone attuano un’operazione dal tono molto più interessante, relegando le voci esplicitamente antifasciste ai margini della scena e portando sullo schermo una critica implicita in cui – tramite la diffusa simpatia per il dittatore di Predappio – si mette in guardia dalla completa e irragionevole riabilitazione del Regime, facendo riflettere e vergognare. L’intelligenza di questa versione italiana – che non è comunque scevra di passaggi forzati o poco riusciti – sta infatti proprio nel trovare nel finale il coraggio di raccontare un periodo storico in cui l’humus sociopolitico potrebbe con grande leggerezza portare a ripetere errori che crediamo superati da molti decenni, grazie anche l’amorale macchina dei mass media (più che dei social).
LA RINUNCIA A UN ADATTAMENTO VERO E PROPRIO
Non mancano però le opportunità perse, e se la volontà di non rendere mai troppo spregevole il protagonista è funzionale all’arco narrativo, sacrifica comunque le possibilità più perturbanti (anche solo la scena della lavanderia, con un Mussolini meno remissivo, avrebbe potuto scuotere con più forza lo spettatore). Anche le recenti polemiche sulle leggi contro l’apologia del Fascismo sono sì collegate alla natura profonda del film, ma non danno lo spunto per un’esplicitazione della ratio dietro il provvedimento. A opinione di chi scrive, invece, sarebbe stato molto interessante proiettare più esplicitamente il dibattito nella storia.
Totalmente incomprensibile poi un’assenza di adattamento degno di questo nome, che avrebbe potuto permettere di confrontare in modo molto meno astratto il nostro passato col presente. Nel replicare i passaggi del successo tedesco, Miniero e Guaglianone decidono di ignorare ogni faccia a faccia con i Partigiani, rinunciano a raccontare con maggiore definizione il confronto con l’estrema destra tricolore, a mostrare il culto fascista che ancora sopravvive florido dalle parti di Predappio e a tentare un confronto con gli eredi in vita di Mussolini. Lo scopo era forse quello di concentrarsi più sugli Italiani che sul protagonista, ma senza questi passaggi il film finisce per perdere il contatto proprio col Paese che vorrebbe ritrarre.
In conclusione Sono Tornato è un film dagli spunti interessanti (più per merito del soggetto originale che dell’adattamento), che però suscita reazioni miste e piuttosto moderate tanto in chi veda incarnata in Mussolini una pagina nera della nostra storia quanto in chi si ostini a riabilitarne acriticamente la figura. Se è brillante la scelta di suggerire quanto una crescente normalizzazione e indulgenza verso il dittatore sia rischiosa, lo è decisamente meno la scelta di raccontare una versione edulcorata della figura storica di Mussolini, mantenendo al contempo la pellicola su un piano quasi astratto, con la costante paura di osare (schivata solo nel finale).
Un film che avrebbe potuto far deflagrare finalmente un dibattito pubblico degno di questo nome sui valori antifascisti della nostra Costituzione e sulla crescente propensione all’intolleranza della contemporaneità, finisce per essere un petardo che si disinnesca da solo; interessante ma non provocatorio, con un ottimo protagonista ma un penoso comprimario.