Bande À Part, il celeberrimo ‘noir’ del 1964 firmato da Jean-Luc Godard, torna in sala dal 12 febbraio in edizione restaurata grazie alla distribuzione di Movies Inspired. Con il suo realismo, le sue scene iconiche e i suoi protagonisti naïf, il film è diventato uno dei più importanti manifesti della Novelle Vague; un lavoro che, a più di sessant’anni dalla prima proiezione, ancora affascina col suo stile.
Libera trasposizione del romanzo Fool’s Gold di Dolores Hitchens (tradotto con il titolo Pigeon Vole in Francia), che il regista aveva letto dietro suggerimento dell’amico Françoise Truffaut, Bande À Part è, già nell’intenzione del regista, un’imitazione – soprattutto dal punto di vista estetico – dei film hollywoodiani di serie B. Un lavoro profondamente diverso dal precedente Il Disprezzo; un progetto più piccolo con cui Godard vuole tornare alla dimensione più intima dei suoi primi lungometraggi.
La protagonista Odile Monod (nome da nubile della madre di Godard) è interpretata dall’indimenticabile Anna Karina, musa e – ancora per poco – moglie del regista, ingaggiata per tentare di sollevarla dalla depressione che aveva apertamente manifestato già sul set di Vivre Sa Vie, e che l’aveva portata due volte a tentare il suicidio.
Odile, in una Parigi autunnale e periferica, segue un corso di inglese insieme a una coppia di amici: Franz (Sami Frey, compagno all’epoca di Brigitte Bardot) e Arthur Rimbaud (Claude Brasseurs). Il nome di Rimbaud è ovviamente un omaggio all’omonimo poeta simbolista, nonché uno dei numerosi richiami letterari che costellano il film, in cui abbondano le citazioni di London, Eliot e Shakespeare.
La ragazza, incautamente, rivela ai due amici che a pensione nella casa di sua zia, Madame Victoria (Louisa Calpijn), alloggia un uomo facoltoso, proprietario di un ragguardevole tesoro. Franz e Arthur progettano dunque una rapina, corteggiando Odile per convincerla a lasciarli entrare nell’abitazione. Il progetto del furto e con esso la trama principale, però, passeranno quasi in secondo piano nell’ottica destrutturalista di Godard: saranno infatti numerosissime le digressioni e le estensioni narrative che attraverseranno e svilupperanno orizzontalmente tutta la pellicola, fino a una sintesi che arriverà con la risoluzione dell’improvvisato progetto criminale.
La regia di Jean-Luc Godard si sofferma sulla descrizione sociologica dell’ambientazione e dei personaggi, e sulla costruzione del clima della Francia anteguerra. Il cineasta preferisce infatti tratteggiare la quotidiana istantaneità della gioventù francese, l’immediatezza di un presente scomposto in istanti e dunque semplice, fissato in momenti scollegati e isolati tra loro: scene che hanno segnato l’immaginario cinematografico proprio perché irrilevanti per la trama in quanto tale, puro mezzo di espressione artistica.
Tra i tanti spunti nell’opera, sono in particolare due le sequenze che si sono insinuate nell’immaginario collettivo della settima arte e sono poi state riproposte, come omaggi, da altri autori: la corsa sfrenata attraverso il Museo del Louvre, ripresa nel 2003 da Bernardo Bertolucci in The Dreamers – I Sognatori, e la scena ambientata nel caffè di Vincennes dove i tre protagonisti danzano dimentichi del resto degli avventori del locale, poi citata da Quentin Tarantino nell’altrettanto iconica scena di ballo del Jack Rabbit Slim’s di Pulp Fiction, dove Mia Wallace (Uma Thruman) e Vincent Vega (John Travolta) si muovono sulle note di You Never Can Tell.
La penetrazione nel reale in Bande À Part è resa attraverso le scelte tecniche e stilistiche: le riprese, durate esattamente un mese – dal 17 febbraio al 17 marzo 1964 – si ambientano tra la periferia est di Parigi, nei pressi di Place d’Italie, e nei dintorni di Joinville, sulle rive della Marna: set lontani dai Boulevard dorati del centro della Capitale. Acquisito in presa diretta, il suono è qualcosa che Godard non lascia sullo sfondo, ma che rende protagonista: in una nota sequenza, il regista sospende ogni rumore, persino quello ambientale, per lasciare lo spettatore a rapportarsi con 37 secondi di assordante silenzio davanti alla pellicola.
Parafrasando i versi d Eliot possiamo sintetizzare quello che ormai Band Á Part è diventato: tutto ciò che è moderno è per questo autenticamente tradizionale. Una pellicola storica, divenuta classica, ancora in grado di rimanere attuale, nonostante il passare del tempo. Imperdibile l’opportunità di vederla nuovamente al cinema.