È da qualche anno ormai che Amazon si è lanciata nel mercato della produzione e della distribuzione cinematografica e televisiva, dimostrando di poter competere in termini di qualità con concorrenti più blasonati (Netflix su tutti): oltre ad essere l’artefice di grandi successi di pubblico e critica come il bellissimo Manchester By The Sea, Mozart in the Jungle e il recente The Marvelous Mrs. Maisel (premiato agli ultimi Golden Globe come miglior comedy), con il servizio streaming Amazon Prime Video offre una vasta selezione di film e serie TV di assoluto valore. McMafia, miniserie BBC One/AMC creata da Hossein Amini (Drive, The Alienist) e James Watkins (Eden Lake, Black Mirror), è una delle novità più rilevanti del suo catalogo in questo inizio 2018.
UN GIOVANE BANCHIERE DALLA FAMIGLIA POCO RACCOMANDABILE
Alex Godman (James Norton) è un giovane banchiere, figlio di un ex mafioso russo (Aleksey Serebryakov) impiantato in Inghilterra dopo essere stato esiliato dalla madrepatria per colpa dei suoi nemici: uno di questi è Vadim Kalyagin (Merab Ninidze), appena sopravvissuto ad un attentato organizzato dallo zio di Alex, Boris Godman (David Dencik). La vendetta di Vadim smuove però le acque: Alex, che ha sempre rifiutato il passato criminoso dei parenti, si trova costretto a prendere in mano la situazione, mischiando i suoi affari con quelli del politico iraniano Kleiman (David Strathairn) per ostacolare il potere del gangster e salvare così se stesso e la sua famiglia.
IL RACCONTO DETTAGLIATO DI UN SISTEMA CRIMINALE
Gli appassionati noteranno immediatamente una somiglianza tra McMafia e un’altra co-produzione BBC/AMC, The Night Manager: i due show infatti raccontano il mondo del crimine organizzato moderno. A differenza di altre serie di successo, come Narcos o il nostro Gomorra, le guerre di potere non si consumano nelle strade di periferia (dove i clan si uccidono tra loro) ma negli uffici dei grattacieli dell’alta finanza e nelle banche, con la collaborazione di chi sa aggirare le leggi e sa stringere silenziosi accordi con la politica. Non manca certo la violenza, tuttavia è messa in secondo piano a favore di una tensione psicologica che viene trasmessa allo spettatore attraverso i personaggi, togliendo il fiato proprio quando tutto sembra tranquillo.
Non tutti gli episodi trasmettono questo senso opprimente di inquietudine però è anche vero che la carne al fuoco è tanta e gestirla in modo organizzato e lineare non è sicuramente facile; eppure tutti i protagonisti della miniserie sparsi per il globo (a rappresentare l’immensità della rete criminale) trovano felicemente il loro posto senza rendere lo script confusionario. Perché se anche lo stereotipo è sempre dietro l’angolo, ogni nome trova immediatamente una collocazione nella memoria del pubblico, aiutato da un’ottima caratterizzazione che distingue un personaggio dall’altro. Unico neo è il continuo alternarsi di diverse lingue, con una preponderanza del russo (accanto ovviamente all’inglese nella versione originale), che distoglie momentaneamente l’attenzione di chi guarda smorzando la tensione emotiva costruita (si è costretti a mantenere la concentrazione sempre alta durante i dialoghi per non perdere possibili plot twist). La mancanza di vere e proprie scene d’azione, che normalmente sono presenti nel genere crime, sono compensate da un ritmo sostenuto del montaggio e da soluzioni visive che destabilizzano: la fotografia infatti cambia a seconda degli ambienti e dei character in scena, creando a livello concettuale ulteriori differenze tra i vari fronti per colpire maggiormente il telespettatore.
A prevalere è sicuramente l’atmosfera grigia e fredda tipica della città di Londra (l’ambientazione principale di McMafia), che esprime la natura del suo protagonista: accanto alla grande storyline della rete malavitosa mondiale, il vero cuore della miniserie è infatti lo sviluppo emotivo di Alex e la sua lotta esistenziale. La scrittura ha una struttura vorticosa che stringe in maniera sempre più soffocante le convinzioni di un protagonista che, per un periodo di tempo, si è tenuto lontano dal losco passato della sua famiglia guardando con sospetto (nonostante un rapporto equiparabile a quello tra padre e figlio) le azioni dello zio. Alex infatti non sceglie di immischiarsi con il crimine per un desiderio di rivalsa nei confronti della sua famiglia (soprattutto verso il padre Dimitri, un alcolista diventato l’ombra di se stesso) ma perché si fida ciecamente di Boris. Solo in un secondo momento si ritroverà invischiato in una rete oscura, continuando quasi ingenuamente a stringere alleanze poiché non trova altro modo per sfuggire alle minacce dei nemici. Dopo i primi episodi introduttivi, che servono più che altro a creare le premesse per poi procedere allo sviluppo della trama vero e proprio, quello che emerge è il suo conflitto interiore: se le intenzioni palesi sono quelle di proteggere a tutti i costi la famiglia e la fidanzata Rebecca (ignara di tutto), è anche vero che questo mondo lo seduce nel profondo, accarezzando l’idea del potere vero (lui ha la facoltà di decidere quali finanziamenti fornire a questi gangster in giacca e cravatta). L’ambiguità di Alex è ciò che mette in moto la macchina narrativa coinvolgendo il pubblico, incuriosito dalla strada che il protagonista deciderà di intraprendere: quella etica e legale (che potrebbe portarlo a riprendere in mano la propria vita) o quella del potere e della lealtà ai soci, facendo di lui un vero e proprio boss. Perfettamente in linea con il personaggio è l’interpretazione posata di James Norton, glaciale e quasi inespressivo perché non deve necessariamente né creare empatia né rappresentare il rovescio della medaglia della criminalità organizzata. Eloquente sotto questo punto di vista è proprio il cognome di Alex: Godman, somigliante all’espressione “good man” ma anche sinonimo di potere, è un’ironica contraddizione che ci mette in guardia.
James Watkins e Hossein Amini creano un ritratto accurato della malavita odierna, in grado di gestire imponenti risorse finanziarie grazie soprattutto alle connivenze politiche, senza però rinunciare al racconto privato di un viaggio verso gli inferi unendo il crime-thriller con una riflessione su temi esistenziali legati alla moralità e all’etica. Essendo una miniserie, McMafia è un prodotto autoconclusivo anche se, come The Night Manager insegna, non si può mai escludere un rinnovo da parte dei due network. In un’ipotetica seconda stagione gli autori dovrebbero concentrarsi sull’analisi di altre organizzazioni criminali per sfruttare al meglio le linee guida del libro McMafia. Droga, armi, essere umani: viaggio attraverso il nuovo crimine organizzato globale di Misha Glenny (a cui la serie si ispira), incentrato sul preoccupante sviluppo della criminalità organizzata su scala globale.