Rielaborando e ampliando un proprio cortometraggio del 2013, il regista francese Vladimir de Fontenay realizza la sua opera prima come regista unico di un lungometraggio (dopo Memoria, film diretto assieme a Nina Ljeti), focalizzando il racconto sulla concezione di casa e sull’importanza dei legami familiari. Mobile Homes, pellicola presentata lo scorso anno a Cannes nella sezione Quinzaine Des Réalisateurs, è uno dei titoli selezionati per il concorso della 36. edizione del Bergamo Film Meeting; il film vanta nel cast attori conosciuti come Imogen Poots (Knight of Cups, Need For Speed, Tutto Può Accadere a Broadway) e Cullen Turner (Assassin’s Creed, Animali Fantastici – I Crimini di Grindelwald).
Lungo il confine americano una ragazza madre di nome Ali (Imogen Poots), suo figlio di otto anni e il violento compagno Evan (Callum Turner) vivono alla deriva spostandosi da un motel all’altro e in appartamenti altrui per trovare una sistemazione dove poter passare la notte. Una famiglia improvvisata la loro, che si ritrova spesso immischiata in attività illegali di ogni tipo per sbarcare il lunario (spaccio di droga, combattimenti clandestini di galli) fino al giorno in cui una comunità di case mobili sembra offrire ad Ali un’alternativa.
Con una buona padronanza tecnica Vladimir de Fontenay conferisce al film un impianto narrativo strutturato, virando nel semi-documentario e inserendo anche alcune sequenze d’azione inaspettate e complesse. Per tutto il lungometraggio assistiamo al disperato tentativo da parte della protagonista di mettere le radici e trovare un luogo in cui potersi costruire una vita più dignitosa, lontano dagli eccessi e dai pericoli. Un’ossessione che la porta a trascurare i rapporti personali (la sua relazione con Evan è solamente carnale), soprattutto con quel figlio avuto troppo presto che è cresciuto come un selvaggio e sfruttato dal padre per i suoi traffici illeciti. Sarà proprio quest’ultimo a svelare con un piccolo e significativo gesto nel finale il vero significato di ciò che andavano cercando, di ciò che sua madre desiderava tanto ma che già possedeva: una “casa” senza pareti e senza radici.
Mobile Homes fa parte di quel filone indie che vuole mostrare il lato più duro e meno glamour dell’America; peccato però che lo scarso approfondimento psicologico dei personaggi e alcune scelte registiche poco felici (come lo slow-motion) appesantiscano il ritmo della pellicola. Tuttavia, le interpretazioni convincenti del cast e il realismo della messa in scena rendono il lavoro di Vladimir de Fontenay un’opera di pregevolissima fattura.