Wild Roses (titolo originale Dzikie Róże), quinto lungometraggio della giovane regista polacca Anna Jadowska presentato in concorso alla 36. edizione del Bergamo Film Meeting, è un dramma che affronta molteplici tematiche.
Il film ruota attorno al conflitto morale di una madre sola e abbandonata, soffocata nel contesto provinciale di una comunità profondamente cattolica assieme ai due figli Marysia e Jas. Suo marito Andrzej lavora all’estero per mantenere la famiglia, ma la distanza che li separa ha incrinato i loro rapporti e la situazione non sembra mutare con il suo ritorno (per festeggiare la cresima della bambina). Inoltre, in un giorno come tanti, il figlio più piccolo scompare senza lasciare alcuna traccia.
Maternità, rapporti coniugali, amore e dolore: questi sono i punti chiave che la pellicola tratta senza scadere in toni moralizzanti ma la narrazione è banale e la costruzione della messa in scena appare anonima e poco ispirata. È subito chiaro l’intento della regista di voler raccontare una storia semplice e commovente, un ritratto fedele della situazione precaria di una madre malata e abbandonata a se stessa che viene giudicata e non compresa da quel villaggio bigotto in cui è costretta a vivere. Eppure ogni singolo momento di Wild Roses – in particolare la sequenza della scomparsa del bambino, forzata ed inutile a fini di trama – rivela quella voglia di stupire, rattristare e intenerire che la cineasta ricerca a tutti i costi per compensare in extremis una sceneggiatura inconsistente e confusionaria. Del resto sono pochi i momenti veramente significativi nel film della Jadowska, che procede per tutta la sua durata con un ritmo volutamente esasperante per concludersi con un finale vacuo e ridicolo malgrado la buona interpretazione di Marta Nieradkiewicz nei panni della protagonista.
Wild Roses, in definitiva, risente dei problemi che attanagliano non poche pellicole autoriali europee, incapaci di lasciare il segno nonostante il forte messaggio che vogliono comunicare.