Matilda Gray (Lydia Wilson) è una violoncellista di successo, astro nascente della moderna musica classica, in trepidante attesa di un suo grande concerto a Londra. Dalla sua parte non solo l’amico e collega Hal Fine (Joel Fry), ma anche e soprattutto la madre Janice (Joanna Scanlan), apprensiva e affettuosa nei confronti della figlia, quanto orgogliosa per aver cresciuto un talento tanto smisurato. Poco prima dell’inizio del concerto però, Janice si presenta alla figlia per augurarle buona fortuna, ma appare totalmente sconvolta, impaurita e mortificata. Dopo un lungo inseguimento per le vie della città alla ricerca della madre così tanto fuori di sé, Matilda finalmente la trova in un passaggio sotterraneo, dove alla fine Janice estrae un coltello e si taglia la gola davanti ai suoi occhi increduli. Un evento tragico quanto improvviso che obbliga Matilda a scavare nella vita della madre fino a trovare un curioso collegamento con una cittadella di provincia, Penllynith, e la scomparsa di una bambina di nome Carys, avvenuta nel 1995. Inizierà così un’indagine che porterà Matilde a scontrarsi con l’omertà degli abitanti di Penllynith, ma anche con oscure presenze che sembrano perseguitarla.
A distribuire sul mercato internazionale Requiem, nuova serie targata BBC One, ideata e sceneggiata da Kris Mrksa, è nuovamente Netflix, che aggiunge così al suo catalogo un progetto che lega il genere thriller a quello horror di sapore distintamente british, non solo per le ambientazioni che passano dalla Londra moderna (col suo fermento artistico) alla periferia del Galles (decisamente più chiusa e arretrata), ma anche per quelle ambientazioni che appartengono squisitamente alla cultura letteraria inglese: si respirano così le atmosfere gotiche de Il Castello di Otranto di Horace Walpole, per ritrovare poi il gusto della suspense di Arthur Conan Doyle quando, nelle scene ambientate nei boschi, pieni di rumori e scricchiolii, ci aspetteremmo di incontrare il terribile mastino di Baskerville. Ma soprattutto Requiem richiama il grande genere della ghost story, cui gli inglesi sono tanto affezionati e che ha sedotto anche autori di primo piano come Dickens, Stevenson, Harry James, Agatha Christie. Non a caso questo è un genere che si sposa perfettamente con quello poliziesco, evitando di tracciare limiti invalicabili che possano in qualche modo definire le trame esclusivamente horror. L’indagine riguardo il mistero che è il fondamento della storia deve andare obbligatoriamente di pari passo con il delinearsi di un clima e di un atmosfera che raramente sfocia nell’horror grafico, mantenendosi semmai di carattere psicologico, accompagnando il lettore in un epilogo che trattiene così tutta l’angoscia costruita lentamente.
È la stessa operazione che Mahalia Belo, regista di tutte le sei puntate della miniserie, deicide di mettere in atto per Requiem, cercando di non prendere mai posizione durante lo svolgimento della storia e non lasciando quindi possibilità alle trame horror di prendere il sopravvento su quelle poliziesche. A pensarci bene però è quasi un peccato: il primo episodio, Matilda, parte così bene che mai si potrebbe pensare a uno svolgimento noioso. Dai primi pochi minuti in cui si tratteggia velocemente ma con cura il rapporto tra madre e figlia, si passa direttamente a un inquietante concerto di scricchiolii, rumori, tonfi che non lasciano alcun dubbio sull’esistenza di poteri soprannaturali che stanno emergendo con violenza nella vita della protagonista, così come le immagini forti del suicidio di Janice assicurano un coraggio della messa in scena che sembra votata all’immersione totale dello spettatore. In realtà, la serie inizia molto meglio di quanto poi proceda fino all’epilogo: nonostante la regia della Belo sia assolutamente funzionale e piena di personalità, i problemi dello script si fanno immediatamente sentire fin dal secondo episodio. Uno su tutti, la presenza massiccia di troppe storyline che faticano – in un così breve spazio – ad esprimersi totalmente: i personaggi, che sono quasi tutti a diretto contrasto con la personalità tipicamente londinese di Matilde, sono degli ottimi schizzi di quello che avrebbero potuto essere con una buona sceneggiatura a sorreggerli. Quello che accade invece è un tratteggio continuo di personalità complesse che andrebbero meglio delineate per non lasciare nello spettatore il vuoto incolmabile di aver appena grattato la superficie di un contesto culturale che nasconde, e terrà sempre nascosti, i segreti che più vorremmo scoprire, e lasciando sullo sfondo argomenti molto più interessanti di quelli che in Requiem vengono portati in primo piano. Ne deriva allora una confusione che finisce per sminuire le storyline delineate inizialmente, lasciandole lì a morire, sperando di riportare lo spettatore sui binari dell’indagine iniziale che vede semplicemente la necessità di collegare la morte di Janice al rapimento della piccola Carys avvenuto vent’anni prima. Le soluzioni inoltre arrivano ai protagonisti come quasi una manna dal cielo, e fin troppo tardi, quando ormai chi guarda ha già capito molto di più di quello che avrebbe voluto.
Sicuramente il punto forte della serie è nella cura che la regista mette nel raccontare il senso di isolamento che attanaglia Matilda, costruendo scenari onirici che possano confondere lo spettatore permettendogli allo stesso tempo di giocare con la trama, ricostruire i puzzle di un intero mondo di cui il rapimento di Carys è un singolo tassello, e creando atmosfere angoscianti che non facciano rimpiangere la violenza visiva che ha caratterizzato la prima puntata. Un’estetica che parte dalla grande letteratura inglese per conciliarsi anche con il retaggio del cinema horror asiatico che tanto ha avuto successo negli anni precedenti, come testimoniano i remake di The Ring o The Grunge.
Quella di Requiem è una vittoria mancata per poco: la miniserie accompagna lo spettatore per gran parte della durata nella scoperta di un mistero, che per quanto poco originale, non risulta mai noioso e monotono, per poi abbandonarlo nel bel mezzo di una storia che guarda da molto lontano il finale che avrebbe potuto accendere un fuoco.