In un periodo cinematografico in cui la necessità di spiegare e arricchire la sceneggiatura di dialoghi illuminanti la fa ormai da padrona, A Quiet Place – Un Posto Tranquillo di John Krasinski va in netta controtendenza, costruendo un film in cui lo sviluppo dell’intreccio narrativo viene affidato quasi esclusivamente all’alternarsi delle immagini e dall’attesa, spasmodica in alcuni frangenti, del vero orrore protagonista silente nel corso della pellicola: il rumore.
La pellicola diretta dal protagonista di The Office (e già dietro la macchina da presa in The Hollars) è un classico survival horror nella struttura, che segue la vicenda della famiglia di Lee (lo stesso Krasinski) ed Evelyn (Emily Blunt, moglie del regista-attore nella vita reale), superstiti di una non ben precisata invasione di creature che, sebbene completamente cieche, hanno decimato la popolazione mondiale grazie a un acutissimo udito che permette loro di captare qualunque suono nel raggio di miglia. Una scelta quasi obbligata quindi quella di affidare al linguaggio dei segni americano, conosciuto dalla famiglia di Lee a causa della sordità della figlia maggiore (la sorprendente Millicent Simmonds, già vista in Wonderstruck) i pochi dialoghi presenti.
Quella che potrebbe sembrare a prima vista una pretenziosa scelta stilistica rende invece A Quiet Place una pellicola unica nel suo genere, in cui i meccanismi della tensione e dello spavento vengono scanditi dai silenzi e dagli sguardi degli attori in scena, riuscendo a creare una tensione palpabile che trova il proprio sfogo sempre un attimo prima che diventi insopportabile, grazie anche all’angosciante colonna sonora curata da Marco Beltrami, e rinnovando soluzioni che troppo spesso nel genere sono state portate in scena in maniera sciatta o poco originale.
La sceneggiatura scritta da Bryan Woods e Scott Beck, nonché dallo stesso Krasinski, è asciutta e diretta: racconta solo quello che è essenziale ai fini della pellicola, anche nei momenti più dolorosi e toccanti, e trasforma l’intuizione di lavorare in assenza di sonoro nella trama del film, in cui la potenza dell’immagine diventa il primo motore narrativo. Si pensi ad esempio al ‘pancione’ esibito da Emily Blunt, che nello spirito della pellicola è l’equivalente di una bomba a orologeria pronta a esplodere; una scelta che sarebbe parsa rischiosa persino per un film d’autore, ma che viene portata in scena magnificamente in un film che non si vergogna del suo animo commerciale.
In soli 95 minuti, Krasinski infatti attinge alla cultura pop moderna senza mai scadere nella banalità o nella necessità di fare puro fan service, e reinterpreta e mette al servizio della sua opera un bagaglio culturale composto non solo da soluzioni prese dai grandi film di genere (l’ambientazione è molto vicina al Signs di M. Night Shamalayan, e alcune sequenze richiamano Aliens di James Cameron), ma anche dal mondo videoludico: il character design del protagonista, Lee, è facilmente sovrapponibile a quello di Joel, il protagonista di The Last of Us, da cui vengono presi anche elementi per il design e le movenze delle creature.
Nonostante non sia un film particolarmente originale nella struttura, A Quiet Place lo è nella sceneggiatura e nella messa in scena, grazie ai quali la paura di fare il minimo rumore viene traslata dallo schermo allo spettatore per 95 minuti di puro intrattenimento in una sala in terrorizzato silenzio. Al cinema dal 5 aprile con 20th Century Fox.