“Ho sempre diffidato di ogni forma di dogma, e quindi anche degli stessi marxisti”. Se un regista si presenta in tal modo, e quello stesso regista ha girato un film su Karl Marx, sicuramente ci troveremo davanti a un’opera essenzialmente antidogmatica. Senza indulgere nella celebrazione del suo protagonista, Il Giovane Karl Marx documenta le basi e gli sviluppi della teoria che ha rivoluzionato il ‘900, calandola nel contesto sociale dell’epoca e accentuandone così la temporalità. Nell’anno del 200˚ anniversario dalla nascita di Marx e del 170˚ anniversario dalla pubblicazione del Manifesto del partito Comunista, Raoul Peck (candidato all’Oscar per I Am Not Your Negro), porta in sala dal 5 aprile questo affresco privato e storico, distribuito da Wanted in collaborazione con Valmyn.
Ne Il Giovane Karl Marx Marx (August Diehl, il maggiore Dieter Hellstrom in Bastardi Senza Gloria) ha 26 anni, vive a Parigi con la moglie Jenny (Vicky Krieps, la Alma de Il Filo Nascosto) ed è costantemente insidiato da problemi economici: sopravvive tra articoli, editoriali e opuscoli. Il suo interesse per le disuguaglianze e la sua vicinanza al socialismo sono già consolidate, e si accompagnano alla sua profonda conoscenza della filosofia: è un pensatore, ma povero di esperienza diretta.
Friedrich Engels (Stefan Konarske, visto in Valerian e la Città dei Mille Pianeti), invece, ha studiato in modo approfondito lo stile di vita e le miserie materiali dei lavoratori nelle fabbriche. Un fuggevole incontro è sufficiente per dare inizio a un rapporto d’amicizia fondato su un profondo rispetto reciproco e ammirazione che durerà tutta la vita. Sullo sfondo di un’Europa in tumulto, punteggiata da movimenti e proteste essenzialmente simili ma frammentate, Marx ed Engels elaborano una teoria che possa unificarle tutte, razionalizzando il disagio sociale e gettando le basi teoriche delle rivolte operaie: danno una testa a un corpo che si dibatte alla cieca.
La teoria marxista si salda così al contesto storico-sociale da cui è scaturita, e, sottolineando questo legame, il regista ne enfatizza la storicità e esplicita il carattere avalutativo della sua pellicola. Un film alla ricerca dell’attinenza storica: Peck si rivolge alle fonti originali, alle lettere che Marx, Engels e Jenny si scambiarono tra il 1843 al 1850, con l’obbiettivo di “concentrarsi sul ricreare un’atmosfera – la frenetica realtà di un’epoca – per far meglio immergere il pubblico nell’Europa degli anni ’40 dell’800”. Questa volontà, sommata alle interpretazioni ottime e alla sceneggiatura raramente scontata, trasmette con forza l’entusiasmo di cui erano pervasi i protagonisti nella loro gioventù.
Ne Il Giovane Karl Marx le idee hanno un’origine intrinsecamente sociale. Marx, infatti, non è il genio isolato, che elabora le sue complesse teorie alla luce di una candela in uno studio buio: scrive, discute, legge, alimentando e alimentandosi del contesto in cui è inserito. Peck, sceneggiatore oltre che regista, getta una luce sull’uomo dietro l’idea, e sull’origine dell’idea stessa, sottolineando brillantemente il condizionamento subito da Marx da parte di altri pensatori dell’epoca ed esplicitando chiaramente la coralità della nascita del pensiero, presentando la teoria marxista come il centro di una ragnatela di idee, influssi e studi. Dalla filosofia hegeliana agli economisti ottocenteschi, dagli studi sociologici di Engels alle discussioni pubbliche dei socialisti francesi. Un prodotto ammirabile sia dai più incalliti marxisti che dai loro acerrimi nemici. Sullo sfondo dei simboli della fabbrica, di cui il film è intessuto, nella stanza buia di una povera casa ottocentesca, lo spettatore assiste alla stesura dell’incipit di uno dei testi più temuti e amati della storia politica dall’ottocento ai giorni nostri, ma questo film non è adatto per chi cerca il dogma, e l’esaltazione di questo stesso, quanto piuttosto per chi è ammaliato dall’idea.