Florence sarà proiettato al Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018 nell’ambito della retrospettiva su Stephen Frears alle ore 17:00 all’Auditorium Vincenzo da Massa Carrara.
Decidere di raccontare la storia di Florence Foster Jenkins, passata alla storia come il peggior soprano di sempre, non è cosa semplice, perché il rischio di cadere nel ridicolo e tratteggiare così un personaggio caricaturale è proprio dietro l’angolo. Tutto cambia, quando a dirigere Florence ci si mette una mano delicata ed elegante come quella di Stephen Frears, già regista di film blasonati come Le Relazioni Pericolose, Alta Fedeltà, The Queen, Philomena e il più recente Victoria e Abdul con Judi Dench, candidata per l’occasione sia ai Golden Globe che ai SAG Awards. Se poi a capo del cast stellare troviamo Meryl Streep nei panni della protagonista, allora sappiamo già di trovarci di fronte a un film che non può davvero passare in sordina.
In questo particolare biopic, la storia che viene raccontata di Florence Jenkins (Meryl Streep) è quella degli ultimi anni della sua vita: ricca ereditiera newyorkese, ha dedicato la sua vita alla promozione della musica nella sua città, appoggiando compositori, cantanti e attori nel corso della loro carriera, tanto da averne anche sposato uno, nonostante una discreta differenza di età. ST. Clair Bayfield (Hugh Grant), in realtà non è mai stato rimpianto dai grandi palcoscenici, così ora, nonostante una vita parallela che lo vede legato sentimentalmente a un’altra donna, trascorre la sua vita a rendere felice l’eccentrica quanto generosa moglie, soprattutto quando lei decide di intraprendere in prima persona la carriera di cantante lirica, aspirando a un concerto niente meno che alla Carnegie Hall. E se organizzare l’evento, con tanto di pubblico acclamante e critica affabile, non sarà certo un problema per Bayfield visto il grande patrimonio a sua disposizione, un unico, significativo, problema, lo preoccupa assiduamente: Florence Foster Jenkins è semplicemente la peggior cantante di tutti i tempi.
Raccontare la storia di ‘perdenti’ non è davvero una novità ad Hollywood. Basti pensare alla geniale rappresentazione che Tim Burton fece del regista Edward D. Wood Jr, nel suo Ed Wood del 1994, interpretato da un promettente Johnny Depp. Quello che ancora oggi viene giudicato come il peggior regista di sempre, venne rappresentato in tutti i suoi difetti per poi giungere ad un ribaltamento della scena che lo vede come contraltare di quelli che sono i talenti canonici, ma che nonostante tutto genera arte e la ispira. Sebbene il linguaggio e lo stile di Tim Burton sia del tutto differente dal quello di Frears, l’intenzione è la stessa: l’ironia con cui i due registi portano in scena la storia di questi “due peggiori” è proprio quella che toglie il personaggio dalla sfera del ridicolo per donarlo al pubblico in una veste umana. E per quanto la vita di Florence sia quella di una ereditiera rispettata e amata, il fatto che sia imperfetta e infantile nei suoi desideri, non lascia spazio tra la sua personalità e quella del pubblico che a questo punto non può ridere di lei, ma la guarda con bonaria comprensione e sincero affetto. Forse Frears gioca anche con il desiderio del pubblico di volersi sentire in una posizione meno passiva rispetto allo schermo, tale cioè da poter giudicare i personaggi, donandogli la falsa ma appagante possibilità di costruire una loro caratterizzazione in grado di spostarli da una zona di ammirazione a quella di intendimento.
Al di là di tutto questo, con Florence, Frears ha colto l’occasione per raccontare con poetica eleganza i rapporti personali che vengono a crearsi tra i personaggi, tutti interpretati magistralmente. Meryl Streep – ormai è appurato – non sbaglia un colpo, e con la sua Florence regala allo spettatore il ritratto dolce di una donna che sa di potersi permettere l’impossibile – come un concerto alla Carnegie Hall – ma con il guizzo di una bambina che vuole semplicemente realizzare un sogno. Accanto a lei senza dubbio il miglior Hugh Grant mai visto prima: l’attore inglese che ha lavorato molto poco nell’ultimo decennio e che è avvezzo a commedie sentimentali di stampo squisitamente british (Il Diario di Bridget Jones, Love Actually, Notting Hill), non ha potuto rinunciare a fare da spalla a quella che – al contrario della sua controparte cinematografica – è considerata tra le migliori attrici mai esistite. E meno male: il suo Clair Bayfield rischiava di essere il cattivo della storia, il marito che tradisce la moglie ricca e più vecchia di lui. Invece il suo personaggio è il più umano di tutti, imperfetto e poetico nel dimostrare che l’amore è un sistema complesso che non segue gli stereotipi del matrimonio perfetto, e che la devozione non è servile ma dettata dai sentimenti puri.
Infine Simon Helberg – conosciuto al grande pubblico come l’Howard Wolowitz di The Big Bang Theory – presta il volto a Cosmé McMoon, il pianista disoccupato che accetta comunque di lavorare con Florence nonostante le sue doti scadenti e che regala al film le scene più comiche e le più commoventi: a lui solo Florence ammetterà in qualche modo di combattere contro un’ambizione tirannica, ma con una dolcezza tale da convincerlo a non tradirla mai, neanche durante le esibizioni più umilianti.
È così che si chiude questa famiglia fuori dal coro, che Stephen Frears delinea con amorevole cura, come a proteggere egli stesso questi personaggi stonati, sfortunati e malati, senza mai rinunciare al suo humour britannico e voltando le spalle alla retorica.