Era il 1977 quando, nelle periferie di Manchester, Ian Curtis, Bernard Sumner, Peter Hook e Stephen Morris decisero di formare una band sulla scia delle atmosfere Punk che l’Inghilterra stava vivendo proprio in quegli anni. Ricollegandosi anche alle identità musicali di autori quali David Bowie, Velvet Underground e Jim Morrison, nacquero i Joy Division, la cui brevissima carriera influenza ancora oggi numerosi artisti della scena indie internazionale, raccogliendo un’eredità che il giovane frontman Ian non avrebbe mai potuto immaginare, chiuso in quella depressione che lo portò al suicidio nel maggio del 1980 a soli 23 anni.
Presentato al Festival di Cannes del 2007 nella sezione Quinzaine Des Réalisateurs, Control di Anton Corbijn – presentato nella retrospettiva del Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018 – è il biopic su Ian Curtis che porta a termine il compito di raccontare il ragazzo diventato Mito con un approccio delicato e personale che raramente si vede in quei film dedicati alle rock star. Pellicole come The Doors di Oliver Stone, Sid e Nancy di Alex Cox, Io Non Sono Qui di Todd Haynes, si concentrano infatti sulla costruzione di una storia che sia fedele alla percezione che il pubblico stesso ha di quegli artisti, sottolineando ancora di più quell’aura soprannaturale che appartiene alle grandi rockstar, specialmente i leggendari “maledetti”, magari morti prematuramente per suicidio o per overdose.
Corbijn, che è stato fotografo e regista di videoclip per numerose band come Nirvana, U2 e Depeche Mode, oltre che aver diretto il videoclip di Atmosphere proprio dei Joy Division per la riedizione del 1988, ha scelto invece una strada completamente diversa, portando sullo schermo la vicenda tormentata di un ventenne di talento ma tormentato da problemi di salute e da un matrimonio fallito, più che il ritratto privo di anima di una rockstar all’inizio del successo. Ian Curtis (Sam Riley) è un talentuoso paroliere e fan della scena punk inglese degli anni Settanta, quando decide di formare una band con tre amici. Contemporaneamente conosce Debbie Woodruff (Samantha Morton) con la quale decide in fretta di sposarsi e di fare un figlio. Ma più i Joy Division, nome del gruppo, incontrano successo di pubblico e critica, più il matrimonio tra Ian e Debbie ne risente, colpa anche dell’incontro con la giornalista Annik (Alexandra Maria Lara), che diventerà presto l’amante del giovane e grande sostenitrice della sua carriera. A complicare tutto, l’epilessia in forma grave che colpisce Ian da giovanissimo, portandolo a non avere più il controllo non solo del corpo, in preda agli spasmi anche durante i concerti, ma anche delle sue emozioni, divise tra l’amore per Annik e i sensi di colpa nei confronti della famiglia.
Ecco che il titolo del film –Control – si rende ancora più esplicito: non solo un riferimento a una canzone dei Joy Division, She’s Lost Control, ma anche e soprattutto la perdita totale della capacità di gestione non solo del proprio corpo, stanco dei sempre più frequenti attacchi epilettici, così come di quei sentimenti che fanno fatica a trovare un collocamento nel suo spirito e lo portano a distruggere a più riprese il suo matrimonio, fino al totale abbandono alla depressione che lo porteranno a compiere l’ultimo gesto. Tutta la sceneggiatura infatti si propone di riportare sullo schermo il carattere fragile di Ian Curtis quasi come fosse un qualunque ragazzo di venti anni alle prese con problemi decisamente più grandi di lui, evitando quindi la mitizzazione del suo personaggio e l’incasellamento in stretti identificazioni stereotipate che il pubblico dei Joy Division ha sempre preso per vero. Corbijn si rifiuta fin dall’inizio di dipingerlo come un rocker maledetto, scegliendo invece di raccontare l’Uomo prima della Leggenda, collocando quindi il dolore in uno spazio famigliare e sottolineando con forza quanto la normalità non sia banale. D’altronde il racconto segue il respiro del suo protagonista, che di certo non sapeva di dover diventare di lì a poco una delle personalità più influenti della musica moderna, definendo quindi una linea narrativa che tenesse conto della percezione che Ian Curtis aveva di se stesso.
Il talento smisurato è ben avvertibile sotto il senso di isolamento e solitudine che Curtis prova, e che il regista traduce in una regia asciutta e in un eleganza formale dettata soprattutto dalla sua carriera più di fotografo che di video maker. Le inquadrature si soffermano insistentemente sui dettagli, sui piccoli particolari che ricostruiscono tutti insieme un quadro quotidiano e famigliare, anche grazie alla sorprendente interpretazione di Sam Riley nella parte di Ian Curtis, particolarmente somigliante e del tutto fedele nella danza epilettica che lo contraddistingueva sul palco, con una particolare attenzione al timbro vocale durante l’esecuzione di alcune canzoni che il regista ha preferito inserire nel film nella versione eseguita dagli attori stessi.
Se infatti lo script è per una parte ripreso dal romanzo autobiografico Touching From a Distance della moglie di Curtis Deborah Woodruff, la colonna sonora è stata tutta costruita sulle canzoni -non solo dei Joy Division, ma anche dei Sex Pistols, Iggy Pop, Velvet Underground, Buzzcocks- che si fanno narrazione vera e propria, sottolineando quelle tappe critiche che hanno causato la depressione e infine il suicidio di Ian Curtis.
Quello di Corbijn è un ritratto non solo estremamente fedele nell’animo, ma è soprattutto il risultato di un suo intimo accostamento, affettuoso oltre che storiograficamente accurato, che restituisce a Ian Curtis un atmosfera umana, senza privare il pubblico di un Mito.
Control sarà proiettato al Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018 alle ore 9:00 del 10 aprile al Cinema Centrale.