Nel cinema ci sono nomi magici che solamente a pronunciarli mettono il potenziale spettatore nella condizione di assoluta deferenza, devozione, attrazione, identificazione, curiosità. Quando poi, vero o presunto che sia, nell’immaginazione collettiva c’è anche l’irrisolto si arriva a quello strano e misterioso processo che approda al mito. Uno di questi nomi è James Dean.
Un personaggio che, se rievocato sul grande schermo, fa tremare le vene ai polsi del regista, dello sceneggiatore, degli attori. Anton Corbijn si prende tutti i rischi con Life, film del 2015 che porta in scena un segmento della vita e della carriera artistica dell’attore americano morto a soli 23 anni a causa di un incidente stradale, presentato nella rassegna del Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018. In particolare il regista olandese racconta l’amicizia tra Dennis Stock, fotografo dell’agenzia Magnum, e James Dean a cavallo tra l’uscita di Gioventù Bruciata e le riprese de La Valle dell’Eden. Una volta posizionati i paletti temporali della storia, è facile dedurre (e mettere in guardia lo spettatore) che non si tratta di un vero e proprio biopic ma dell’incontro di due persone in età giovanile, diverse, ma poi non troppo, per carattere e temperamento, ma accomunate dalle stesso impulso di scommettere sulle proprie capacità (oseremmo dire) “divinatorie”.
Siamo negli anni Cinquanta e Dennis Stock è un fotografo che paparazza i personaggi dello spettacolo partecipando ad aventi tra New York e Los Angeles. Sogna di approdare alla copertina di Life, un magazin di giornalismo fotografico molto popolare (poi sopravvissuto con vicende e fortune alterne fino al 2007) e individua in un giovanissimo attore ancora poco conosciuto incontrato ad un party il soggetto giusto per coronare il suo sogno. Tra i due nasce un’amicizia che attraverso il meccanismo cacciatore-preda (fotografo-attore) svelerà le persone, il loro mondo, le loro fragilità, la difficoltà di entrambi di relazionarsi ai sentimenti, alla famiglia ma anche al proprio lavoro.
Quello di Anton Corbijn, che nasce come fotografo, autore e regista di videoclip prevalentemente di band musicali, è un progetto ambizioso, però purtroppo riuscito solo in parte. Un progetto che se ben strutturato avrebbe avuto uno spessore meta comunicativo molto più interessante. Se, ad esempio, Corbijn avesse preso in considerazione la storia di un’amicizia vista attraverso la fotografia con un taglio più approfondito e visto con gli occhi di un vero e bravo fotografo professionista quale in effetti lui è. Al contrario, tutto e tutti rimangono forse troppo in superficie, con il risultato di prediligere il racconto didascalico rispetto a quello drammaturgico, nonostante la buona prova di Robert Pattinson (Dennis Stock) e di Dane DeHaan (James Dean). Nè riesce a dare una mano a Corbijn la sceneggiatura di Luke Davies che nel suo ultimo Lion – La strada verso casa mette probabilmente in mostra gli stessi limiti dello script. Il cast è di tutto rispetto, e si completa con Joel Edgerton, Ben Kingsley, Kristen Hager, Kelly J. McCreary, Michael Therriaul e soprattutto con Alessandra Mastronardi che interpreta Anna Maria Pierangeli, prima diva italiana a Hollywood e grande amore di James Dean.
La location nella fattoria dell’Indiana da dove Dean proveniva è una delle più riuscite, anche perché lì la freddezza anche climatica ha un senso mentre quella che pervade un po’ tutta le pellicola (e non stiamo parlando di meteo) ne ha un po’ meno. Il mito di Dean e il motto di Life (“Vedere il mondo attraverso i pericoli, guardare oltre i muri, avvicinarsi, trovarsi l’un l’altro e sentirsi. Questo è lo scopo della vita”) avrebbero potuto ispirare qualcosa in più. Imperdibile il finale con il blues di Little Walter e della sua Off the wall (1953) che intervalla i titoli di coda alle foto originali fatte da Stock a James Dean.