Trarre un film da una forma artistica diversa dalla letteratura suona spesso come un’impresa ardua. Senza sorpresa l’assunto non si smentisce per Manifesto, film di I Wonder Pictures riproposto fuori concorso al Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018, scritto e diretto da Julian Rosefeldt e ispirato da un’istallazione omonima dell’artista australiano. Se la pellicola non mira certo a cercare l’intrattenimento dello spettatore, ciò che potrebbe disturbare un pubblico non abituato ai linguaggi della videoarte è la compiaciuta supponenza che sembra trapelare in filigrana; un’autoreferenzialità intellettuale che poco ha a che fare con il cinema più tradizionale. L’artista, che vede il suo ruolo come quello di un prometeo del grande schermo, consegna infatti allo spettatore un prodotto volutamente pretenzioso, quasi privo di azione e alla ricerca di una comprensione non sempre alla portata del pubblico; “un’installazione cinematografica multischermo” che in realtà merita di esser ricordata soprattutto per la bravura della protagonista.
Cate Blanchett recita 13 diversi “manifesti”. Certi sono di famosi artisti, legati alle più celebri correnti della storia dell’arte recente come il surrealismo, la pop art o il dadaismo, mentre altri appartengono alla sfera politica come quelli di Karl Marx o John Reed. L’attrice premio Oscar è perfetta in ogni ruolo, sia essa una insegnante, una rockstar britannica, un barbone, una donna ricca. Più che un esercizio di stile, Manifesto è una prova di onnipotenza, un documento che testimonia la versatilità della Blanchett. È come vedere sullo schermo tredici diversi provini di una stessa attrice, per tredici parti diverse, ognuna recitata perfettamente. L’attrice australiana muta accento come se niente fosse, ritraendo ora una rockstar con un pronunciato accento britannico e ora una donna che a tavola ripete un manifesto dicendo la preghiera.
Ogni episodio è aperto da panoramica o carrellate, totali dell’ambiente nel quale il personaggio di turno si trova. Girati con cura, originalità e una padronanza del mezzo cinematografico non indifferenti. Probabilmente, infatti, se fosse stata aggiunta una sceneggiatura, contenente un intreccio in grado di far coesistere i manifesti (magari riducendone la quantità), sarebbe potuto uscire un piccolo capolavoro. La scelta, invece, è stata quella di non mediare tra la precedente installazione e la sala cinematografica.
In Manifesto, i diversi episodi sono tenuti insieme prevalentemente dalla capacità sempre sorprendente della Blanchett di portare in vita tredici personalità agli antipodi. Lo spettatore allora viene chiamato ad accettare un film preso da un’istallazione artistica nella quale vengono letti manifesti artistici, scritti da giovani poeti ed intellettuali nel fervore rivoluzionario dei loro anni, ribadendo più o meno sempre lo stesso concetto: essere irrispettosi dei valori borghesi, fare dell’arte un mezzo rivoluzionario, rompere i legami con il passato.
Julian Rosefeldt tiene lo spettatore lontano, fuori da un flusso di parole legate tra di loro e al contempo estranee l’una all’altra. Manifesto è un film sull’arte costruito per essere un’esperienza; non concede nessun appiglio a chi si aspetti un lavoro più tradizionale, bensì richiede che si ammiri, comprenda e ci si immerga nell’idea artistica su cui è fondato. Tredici sermoni per dimostrare la potenza dell’arte, la sua capacità di distruggere le precedenti istituzioni e stravolgere l’ordine borghese delle cose. In un atto che con la narrazione ha poco a che fare, Julian Rosefeldt testimonia la sua nostalgia verso movimenti artistici scomparsi e forse verso la forma stessa del manifesto come dichiarazione programmatica di un movimento.
Manifesto sarà proiettato al Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018 alle ore 18:00 dell’11 aprile presso l’auditorium della Fondazione Banca del Monte di Lucca.