A dispetto di quanto potrebbe suggerire il titolo, The Queen of Fear, presentato prima in selezione ufficiale al Sundance Film Festival 2018 e quindi in anteprima nazionale al Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018, non è un film horror, quanto piuttosto un film sulle paure che possono essere innescate da eventi traumatici: che sia un abbandono, o ansia da prestazione, o la perdita di una persona cara, tutte queste generano solitamente uno stato di terrore paralizzante e di ansia.
È da questi presupposti che muove la pellicola di esordio alla regia di Valeria Bertuccelli, che presta anche il proprio volto e fisico alla causa interpretando Robertina, un’affermata attrice che inizia a soffrire di crisi d’ansia e di panico durante la preparazione della sua ultima performance teatrale. Questi attacchi sono divenuti mano a mano più frequenti a causa dell’improvviso abbandono da parte del marito, scappato di casa proprio per via dei comportamenti al limite della paranoia della moglie. Senza figli e in balia delle proprie paure, l’occasione per fuggire dalla sua bella casa di Buenos Aires – e quindi di sgombrare la mente – le si presenta quando decide di partire per Copenaghen per andare a trovare uno dei suoi migliori amici, Lisandro, che sta combattendo contro una recrudescenza di un cancro che sembrava sconfitto. Nonostante condivida il dolore dell’amico, che a differenza di Robertina accetta con serenità la sua condizione forte delle proprie credenze sulla reincarnazione, l’attrice si inizia a rendere conto presto di non essere stata per Lisandro una buona amica, ignorando molti particolari della sua vita (come per esempio che Lisandro insegni la lingua dei segni), e ricadendo nella spirale di ansie e paranoie che l’avevano costretta a lasciare la propria casa nella capitale argentina.
Donna tuttofare nella pellicola, Valeria Bertuccelli, oltre a essere l’assoluta protagonista, firma anche la regia e la sceneggiatura di un’opera drammatica che si pone l’intento di portare su schermo le ansie e le preoccupazioni della generazione dell’artista argentina, costretta a confrontarsi con le conseguenze di anni di scelte sbagliate. Sebbene la Bertuccelli offra un’interpretazione magnetica e di grande spessore, la sceneggiatura del film risulta troppo ancorata a una serie di trovate narrative stanche e già viste, rivelando una scrittura a tratti approssimativa e poco attenta in molti passaggi. Nonostante questo, però, la prova dietro la macchina da presa dell’esordiente sudamericana è di ottimo livello, mostrando una capacità di gestione della macchina da presa che sarebbe lecito aspettarsi da registi con alle spalle almeno un paio di film, non da una debuttante assoluta: i movimenti di machina sono fluidi, e, sebbene incentrati quasi esclusivamente sulla protagonista, hanno il merito di non annoiare mai, grazie anche ai suggestivi colori desaturati della fotografia curata da Matías Mesa che stride con i colori vivaci dei costumi, facendo immergere lo spettatore a pieno nella psiche ansiogena della protagonista.