Che Westworld sia destinata a prendere il posto di Game of Thrones come serie di punta del canale premium cable americano HBO non è certo un mistero: il prodotto concepito da Jonathan Nolan e Lisa Joy, dopo il grande successo di pubblico e critica (è stato candidato agli Emmy nella categoria Miglior Serie Drammatica), è uno degli show più attesi del 2018. Dopo quasi un anno e mezzo dal season finale c’era grandissima curiosità attorno alla première, soprattutto per comprendere la direzione che Westworld avrebbe intrapreso. Journey Into Night (il titolo della puntata) ci indica subito il cambio di marcia della creatura di Nolan e Joy: l’ultimo episodio della prima stagione (The Bicameral Mind) ha finalmente smosso le acque, la rivolta degli androidi è ormai in atto.
UNA PREMIÈRE MOVIMENTATA E VIOLENTA
Strutturato su due linee temporali (tre, se consideriamo anche la scena iniziale), l’episodio che inaugura il nuovo ciclo di Westworld fa il punto della situazione con tutti i protagonisti della serie: Bernard (Jeffrey Wright), Dolores (Evan Rachel Wood) e Teddy (James Marsden), Maeve (Thandie Newton) e William (l’Uomo in Nero interpretato da Ed Harris). Lo show parte immediatamente in quarta con una première che rappresenta il ponte ideale tra il passato ed il futuro di Westworld: se il tema centrale della prima stagione era il caos apparente (rappresentato dalla figura allegorica del labirinto), Journey Into Night ci mostra le sue dirette conseguenze. Il passaggio era inevitabile perché necessario ad introdurci l’elemento principale della seconda stagione, The Door (la porta simbolicamente identifica una fase di passaggio, come la soglia ne Il Viaggio Dell’Eroe di Christopher Vogler). Ovviamente il cambiamento non è mai indolore, ecco perché i due showrunner, nel corso dei primi 67 minuti, si soffermano in maniera particolare sull’azione e sulla violenza (non risparmiando allo spettatore alcuni dettagli macabri).
WESTWORLD STA CAMBIANDO PELLE?
Se nel 2016 la serie prodotta dalla Bad Robot di J.J. Abrams si basava su una narrazione labirintica in cui ad emergere erano gli enigmi e il racconto corale (seguendo le orme di grandi show come Lost e Twin Peaks), in questo inizio stagione si cominciano ad intravedere segnali di metamorfosi in cui l’epica sta pian piano prendendo il posto della mise en abîme: in poche parole, sembra che Westworld si stia evolvendo in un prodotto più “accessibile” al grande pubblico, pur non perdendo la sua identità. Nel 2019 verrà trasmessa l’ultima stagione di Game Of Thrones e la HBO ha disperatamente bisogno nel breve periodo di una top series in grado di sostituire l’amatissimo show fantasy (l’adattamento televisivo di Watchmen di Damon Lindelof, ordinato dal network via cavo, è ancora un progetto in fase di costruzione che richiede tempo). Westworld, come Game Of Thrones, è stata concepito per essere oggetto di dibattito dopo ogni puntata (il cliffhanger della première lo conferma), filosofia alternativa al modello Netflix del binge watching; questo approccio, volto a coinvolgere maggiormente i fan con le loro teorie, permette alla serie di Nolan e Joy di avere maggiore visibilità (soprattutto sui social).
Dal punto di vista degli ascolti però Westworld non sfonda negli USA: il primo episodio del 2018 infatti, pur registrando buoni numeri (due milioni di spettatori con un rating di 0.9), non realizza il risultato migliore della sua storia e, considerando che non aveva contro una macchina d’ascolti come The Walking Dead (come nel 2016), è un dato che non preoccupa ma fa riflettere.
Alcune anticipazioni fatte dai due showrunner (come ad esempio la presenza dello Shogun World, con un episodio interamente in lingua giapponese) mantengono altissima l’attenzione verso Westworld (in onda nel nostro paese in esclusiva su Sky Atlantic), che potrebbe regalare anche quest’anno ai telespettatori momenti di grandissima televisione in perfetto stile HBO.