Nella recensione di Loro 1, la prima parte del nuovo film di Paolo Sorrentino (la trovate qui), abbiamo già premesso quanto sia rischioso dover esprimere un giudizio su un’opera della quale si è visto solo quello che – di fatto – ne è il primo tempo. Il sospetto era infatti che la pur straordinaria esperienza di Loro 1 non fosse che un prodromo al vero cuore della narrazione, quello in cui i turbamenti sentimentali di Silvio Berlusconi (Toni Servillo) avrebbero incrociato la strada con lo tsunami incarnato dai volti di Riccardo Scamarcio e Kasia Smutniak. La direzione che prende Loro 2 effettivamente muove anche verso quei lidi, ma nel secondo capitolo la visione registica si fa molto più ampia, e i toni e il focus che assume l’interezza dell’opera finiscono per essere inaspettati seppur non del tutto imprevedibili.
MOMENTI MEMORABILI, MA TROPPA CARNE AL FUOCO PER 100 MINUTI
Tanto per cominciare, con la seconda metà, il mondo di Loro si allarga. Sembra che Sorrentino non voglia e non possa sottrarsi all’onere di fare riferimento a un contesto più ampio, che non sia solo quello del Berlusconi privato ma che ritragga anche l’emanazione pubblica della sua persona, con tutti i temi scottanti che questo implica. Fare un film significa lasciare un’impronta, e omettere tanti aspetti (seppur ovvi e ormai addirittura abusati) probabilmente avrebbe offerto una chiave di lettura errata del film, che non vuole essere un atto di denuncia ma nemmeno un’apologia.
Finiscono così per entrare (fuggevolmente) in campo le accuse politiche e giudiziarie, le intercettazioni, gli arresti della cricca e – con un peso considerevole e una lettura simbolica non proprio originale – il terremoto de L’Aquila. Al centro della storia rimane il rapporto tra un uomo, l’amore di una vita, il potere e la tentazione, ma la necessità di includere alcuni passaggi imprescindibili della biografia di Berlusconi quasi finisce per distogliere l’attenzione dall’equilibrio perfetto promesso dalla prima parte del film, senza per questo arricchire particolarmente l’arco evolutivo del protagonista.
I soli 100 minuti di durata di Loro 2 finiscono quindi per stare stretti a una storia il cui respiro vuole essere quantomai ampio ma in cui il materiale che finisce sul pavimento della editing room è evidentemente tanto (troppo), dando vita a un ibrido che è probabilmente frutto della ragionevole ma improvvida scelta di dividere in due un’opera cui avrebbe piuttosto giovato un metraggio o decisamente più breve (snellendo lo script) o addirittura più lungo (magari in tre o più episodi televisivi, nei quali valorizzare lo straordinario potenziale di tanti momenti che intravediamo appena sullo schermo).
Ciò non toglie che Loro 2 rimane una pellicola straordinaria con momenti straordinari, e che anche solo la memorabile scena di Berlusconi che si finge un venditore immobiliare, quella in cui con fare predatorio si appresta a sedurre una giovane a disagio (la bravissima Alice Pagani) e quella in cui Servillo si sdoppia incarnando sia il Cav che Ennio (Doris, sembra suggerire l’attore in conferenza stampa), da sole bastano per etichettare l’ultimo lavoro di Sorrentino con un altissimo esempio del Cinema più ispirato.
IL CIARPAME SENZA PUDORE CHE ISPIRA UNA PARABOLA SORRENTINIANA
Era il 28 aprile 2009 quando Veronica Lario, rispondendo all’ANSA in merito al dibattito aperto il giorno precedente da un articolo della Fondazione Farefuturo, parlò di «ciarpame senza pudore, tutto in nome del potere» in merito a quanto emergeva in quei giorni dai giornali, e cioè la scelta dell’allora marito di candidare alle elezioni europee anche ‘veline’ e avvenenti attricette, nonché la presenza del Cavaliere a Casoria per la festa dei 18 anni di Noemi Letizia. «Voglio che sia chiaro – spiegava allora la sig.ra Berlusconi – che io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione. Dobbiamo subirla e ci fa soffrire», e in una sorta di manifesto #metoo ante-litteram contrapponeva alle «vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo e la notorietà» donne di tutt’altra pasta, denunciando «la sfrontatezza e la mancanza di ritegno del potere che (…) va contro le donne in genere e soprattutto contro quelle che sono state sempre in prima linea e che ancora lo sono a tutela dei loro diritti».
Sono proprio i passaggi pieni di amarezza e dignità di quella lettera che, alla luce della visione di Loro 2, sembrano esser stati la scintilla che ha animato l’ultima fatica di Sorrentino. Un racconto di caduta e perdizione che sembra quasi una delle grandi catabasi letterarie; che mettendo a confronto l’amarezza dei sentimenti con una vertiginosa spirale di edonismo (pesate entrambe sulla figura-fulcro di Silvio Berlusconi) re-immagina e trasforma alcune delle più incredibili pagine della recente storia italiana in un racconto perfettamente e squisitamente sorrentiniano, certamente corrosivo ed emozionante, ma che difficilmente potremmo reputare verosimile se non avessimo letto i giornali negli ultimi 10 anni. Una storia che parla di cuore e dissoluzione, e in cui la dimensione della cronaca giudiziaria e politica sembra a volte voler entrare quasi a forza.
IL CORAGGIO DELLA DECADENZA RACCONTATA AI TEMPI DEL #METOO
Loro 2 – o meglio, Loro – è un film incredibilmente coraggioso non solo per la scelta di mettere in scena il quasi-presente (con un’operazione molto più vicina alla storiografia narrativa tipica della Grecia classica che al bio-pic), ma anche e soprattutto per l’ardire di prendere indirettamente una posizione fuori dal coro nel grande e importantissimo dibattito sollevatosi in seguito al caso Weinstein – dibattito nato come doverosa denuncia e poi sempre più appiattito dalle posizioni di comodo decise dagli agenti e dagli uffici stampa delle star.
Se è evidente il tema di come certi uomini di potere sfruttino la propria posizione per abusare e ricattare ragazze che vengono ingannate, molestate e trasformate in oggetti sessuali (la scena dell’incontro ravvicinato tra il protagonista e Stella è esemplare), è altresì chiaro che al fianco delle vittime ci sono anche le predatrici, e che per alcune il divano del produttore (o la ‘cena elegante’ del Presidente) sono tappe consapevoli di una scalata ambiziosa e spregiudicata. Le ‘vergini’ di cui parlava la Lario si offrivano al ‘drago’ con tutta la propria determinazione e abnegazione, e non erano necessariamente prostitute, ma anche figlie di famiglie dabbene. Non era però una questione di genere, ma di potere: certi uomini e donne, più o meno comuni, erano attirati da tutto quello che una certa idea di influenza rappresentava, e chi quel potere lo incarnava era a sua volta magneticamente attirato da essi.
La messinscena di quello che il regista stesso definisce «un momento storico (…) amorale, decadente, ma straordinariamente vitale» diventa così non solo una lettura compendiosa di una certa Italia che ora finge di non essere mai esistita, ma anche un contributo per ritrarre la complessità che ruota attorno a un personaggio sostanzialmente semplice (come sottolinea lo stesso Berlusconi cinematografico); un ritratto sconfortante che però assume un retrogusto vagamente retorico nei titoli di coda. Una sarabanda di esseri umani terribili verso i quali finiamo però per provare non solo disgusto, ma anche un certo senso di pietà, al fianco dei quali si intravedono però anche “i buoni”, come a sottolineare che non siamo tutti uguali.
GAMBERI, SQUALI, OSTRICHE E SOLITUDINE: LA POETICA SORRENTINIANA
Nell’epitaffio di Theodore il poeta, sulla pagine dell’Antologia di Spoon River, Edgar Lee Masters ricordava come il compito di un poeta, in fin dei conti, sia quello di osservare le persone con lo stesso sguardo affascinato e curioso con cui i bambini più meditabondi guardano i gamberi che provano a emergere dalla propria tana nel fiume, come fossero esseri alieni in merito alle cui intenzioni, desideri e pensieri ci interroghiamo senza grandi risposte. Stando a tali premesse, Sorrentino è uno dei più grandi poeti del cinema italiano, perché quegli «uomini e donne che si nascondono in tane del destino nel cuore di grandi città» l’autore partenopeo sembra sempre osservarli con l’avida meraviglia e la malinconica incomprensione di un bambino cresciuto. E, in più, con corrosiva ironia.
Lo stesso discorso vale ovviamente per Silvio, Veronica, le ragazze del bunga bunga, i politici in svendita e gli imprenditori ambiziosi: spogliati di prospettiva cronachistica, diventano gamberi da studiare, in relazione ai quali perde senso ogni denuncia moralistica o moraleggiante. Quelle sono categorie troppo banali e lapalissiane per l’immaginario visionario del regista e poi, come abbiamo giù detto, il fascino della corruzione è un colore narrativo straordinariamente cangiante nella tavolozza di Sorrentino. Quello che conta per un grande cineasta sono sempre le storie e la poetica, e così anche in Loro lo spettatore si immerge in quell’universo così riconoscibile in cui al fianco di personaggi che sembrano nati per nuotare come squali nelle acque profonde, ci sono figure quasi verghiane, che, quando decidono di non restare attaccate al proprio scoglio come un’ostrica, vengono punite per la propria mal riposta ambizione.
Potenti o ultimi, onesti o corrotti, i personaggi di Sorrentino sono sempre tutti irrimediabilmente sulla stessa barca (ormai per qualche inspiegabile ragione abbiamo preso il largo verso i paragoni marinari, perdonateci). Qualunque sia la situazione di partenza, sembra che le maschere del Cinema del regista premio Oscar siano sempre accomunate da uno sconsolato senso di smarrimento, quasi costantemente costrette a relazionarsi con una fine più o meno incombente. Uno dei temi ricorrenti nel Cinema del regista di Le Conseguenze dell’Amore e La Grande Bellezza è infatti quello della solitudine, e osservando i protagonisti di Loro 2 viene da pensare che, dietro tanta dissolutezza e spregiudicatezza, ci sia il costante richiamo di un grande vuoto, di una glaciale incapacità di agganciarsi agli altri. Berlusconi ha tutto, ma come dice in una scena di Loro 1 (e come recita la tagline di Loro 2), «tutto non è abbastanza» per saziare una fame irragionevole, devastante e che prende le mosse da chissà quali traumi.
DATECI LORO
In conclusione Loro 1 e Loro 2 sono film radicalmente diversi nella concezione e nella realizzazione, e l’impressione è che la necessità di suddividere in due capitoli quasi autonomi un’unica opera abbia costretto a ridistribuire in modo un po’ forzato i passaggi della storia, portando a un montaggio che, se nel primo capitolo è da storia del cinema, nel secondo sembra peccare di una incolpevole incertezza.
Siamo pronti a scommettere che chiunque veda Loro 1 e Loro 2 non possa dire di aver davvero visto Loro, e che solo quando sarà possibile assistere a un’unica lunga versione del film (con evidenti rimaneggiamenti al montaggio, immaginiamo), si potrà dire di esser veramente entrati in contatto con la visione di Sorrentino.
Rimane il fatto che per regia, scrittura, interpretazioni e realizzazione tecnica, l’ultimo film di Paolo Sorrentino (inteso come somma dei due capitoli) è di quelle esperienze che da sole basterebbero comunque a far innamorare del Cinema. Nonostante quegli ironici e orribili numeri tricolori che scandiscono la compravendita dei senatori.