Correva l’anno 1962 quando sul grande schermo il regista statunitense Joseph Losey portava sul grande schermo Eva, film tratto dall’omonimo romanzo di James Hadley Chase. Cinquantasei anno dopo il francese Benoit Jacquot si cimenta con lo stesso lavoro. Un progetto coltivato per anni poiché il cineasta d’oltralpe avrebbe voluto evitare un remake tout court della pellicola precedente e apportare alla trasposizione cinematografica dell’opera di James Hadley Chase l’approfondimento psicologico dei personaggi in una storia che probabilmente nel 1962 poteva avere degli elementi di novità, ma che nel 2018 poteva risultare abbastanza rivista e prevedibile.
La vicenda ruota intorno al giovane Bertrand (Gaspard Ulliel), un badante, e forse gigolò, al servizio di uno scrittore di grande successo che vede morire davanti ai suoi occhi colto da un malore nella vasca da bagno. Bertrand conosce tutto del suo cliente, anche l’esistenza dell’ultimo romanzo che l’anziano avrebbe voluto mettere in scena a teatro. Il giovane dopo una fase iniziale di sbigottimento, unico testimone della morte dello scrittore, è tentato di trarre vantaggio da questo episodio drammatico. Dapprima è combattuto ma poi decide di appropriarsi del computer e del manoscritto dell’ultimo romanzo dell’uomo e nel periodo successivo lo porta in scena con la sua firma. Il successo è travolgente e ogni replica fa il tutto esaurito. E’ così che il suo editore e la sua fidanzata (Julia Roy), pensando di aver scoperto un talento inaspettato, lo stimolano ad andare avanti e a scrivere ancora. Ma Bertrand non ne è capace, almeno fino a quando incontra Eva (Isabelle Huppert), una escort d’alto bordo che individua come una sorta di musa ispiratrice. Eva diventa un’ossessione, la persona che Bernard pensa risieda la sua creatività, ma anche un’ossessione che porterà tutti ad essere invischiati in una ragnatela di rapporti e di dinamiche che nulla hanno di reale, se non i vani desideri dell’uomo, e che porteranno la vicenda fino alle estreme conseguenze.
Fare un parallelismo tra il film del 1962 e quello attuale probabilmente non sarebbe giusto né corretto, soprattutto perché la distanza che li separa è siderale e poi anche perché, va detto, entrambi non sono memorabili nella storia del cinema. A questo va aggiunto che da una parte troviamo Jeanne Moreau e Virna Lisi, autentici mostri sacri, dall’altra Isabelle Huppert che però, per quanto abbia una presenza scenica sempre considerevole, non riesce a tenere in piedi la credibilità della sceneggiatura, delle riprese e del montaggio. Ed è un vero peccato che anche un’attrice così carismatica e di talento non venga messa nelle condizioni di dare un colpo d’ali a tutto il lavoro. I personaggi si perdono in quelli che nelle intenzioni avrebbero dovuto essere i loro intrecci psicologici ma l’obiettivo non sembra perfettamente centrato, complice anche un girato a tratti affetto da una sconcertante calma piatta nonostante l’avvio faccia ben sperare. La ricerca di bilanciare l’opera fra il thriller e il noir non ha dato forse i risultati sperati. Il film ha avuto un’accoglienza tiepida sin dalla sua presentazione alla Berlinale, dove si era presentato in concorso per l’Orso D’oro, ma anche successivamente non ha ancora accesso gradi passioni.
Di Eva nell’accezione dell’archetipo e stereotipo della prima donna, attanagliata nella gabbia tra seduzione e ispirazione, non c’è traccia nella “letteratura” del film, o almeno non è dichiarata. Tuttavia può essere un ulteriore spunto di riflessione che lo spettatore può elaborare con la mediazione comunque accennata dai personaggi. Un aspetto probabilmente banale ma che il cinema a volte porta a livelli interessanti e coraggiosi, come sarebbe stato in fondo auspicabile specie per chi si prefiggeva la rilettura dell’opera.
Eva sarà in sala dal 3 maggio con Teodora Film.