È nata in Spagna ma, grazie a Netflix che ne ha acquistato i diritti per i mercati esteri, è diventata un successo internazionale: è questa la storia de La Casa di Carta (La Casa de Papel in lingua originale), la serie di Antena 3 che ha beneficiato di una distribuzione quasi planetaria, come già accaduto per molti altri show non anglofoni (si pensi al belga Tabula Rasa di ZDF, a La Mante della francese TF1 o a Stranger della coreana tvN).
LA “TRUFFA DEI SOLDI” COME RIBELLIONE
Creata da Álex Pina, La Casa Di Carta racconta la storia di otto rapinatori che assaltano la Zecca Nazionale Spagnola, rimanendo all’interno dell’edificio per cinque giorni con l’intento di stampare due miliardi e mezzo di euro. A coordinare questo piano così ambizioso è la mente geniale del Professore (Álvaro Morte) che recluta, addestra e istruisce i rapinatori senza partecipare direttamente all’azione. Otto sconosciuti, che si identificano soltanto con nomi di città: Tokyo (Úrsula Corberó), Mosca (Paco Tous), Berlino (Pedro Alonso), Nairobi (Alba Flores), Rio (Miguel Herrán), Denver (Jaime Lorente), Helsinki (Darko Peric) e Oslo (Roberto García), la cui identità è ulteriormente celata dalle maschere del volto di Dalí che indossano. Il rimando alla maschera di Guy Fawkes usata prima in V per Vendetta e poi da Anonymous è lapalissiano – e un po’ ruffiano –, ma la scelta del pittore spagnolo non è casuale: rimanda infatti al concetto del tempo, centrale sia nel quadro più famoso dell’artista (La Persistenza Della Memoria) che all’interno della serie. Queste maschere sono una trincea per i rapinatori e uno scoglio insidioso per l’ispettrice Raquel Murillo (Itziar Ituño), inviata per espellere e arrestare i criminali (affiancata dalla polizia e dai servizi segreti). I pezzi degli scacchi di cui il Professore dispone per giocare la sua partita sono sul tavolo. Le mosse, ermetiche e lungimiranti, seguono un raffinato piano, progettato considerando ogni possibile imprevisto, mossa e reazione della moltitudine di pedine coinvolte.
Inizialmente, La Casa de Papel (noto nei territori anglofoni come Money Heist) non sembra distanziarsi molto da una semplice storia criminale. Con il passare delle puntate tuttavia le tute rosse dei rapinatori iniziano ad acquisire un senso e sulle note di Bella Ciao si svela il tema rivoluzionario della lotta al sistema, alla finanza, alle banche. Una lotta di cui forse solo il Professore è cosciente e che affonda le radici nella sua biografia: il nonno infatti è stato un partigiano impegnato nel nostro paese contro i nazisti. Così si giustifica la presenza della canzone-simbolo della Resistenza Italiana (il cui testo rimane in lingua originale) che accompagna le svolte più importanti disseminate lungo i ventidue episodi (nella versione andata in onda su Antena 3 si trattano di 15 puntate da 70 minuti), rivelando al pubblico il disegno ideologico di sfondo: una rapina, nella sua concezione originaria, molto più filosofica che materiale, con criminali che assomigliano sempre di più a rivoluzionari. In questo esaltante inno alla ribellione si trova il fulcro del successo de La Casa di Carta e, per quanti difetti possano emergere nel corso delle due parti, è evidentemente la forza emotiva deflagrante di alcune sue scene chiave, che ha fatto sì che lo show diventasse di culto presso un’ampia fetta di spettatori.
I CATTIVI SONO I BUONI E VICEVERSA?
La banconota non è altro che cellulosa: La Casa de Papel gioca sul binomio legale/illegale legato all’attività di creazione della moneta. Se la Banca Centrale Europea crea dal nulla miliardi di euro lo fa per immettere liquidità per le banche; se invece la banda del Professore stampa altrettanti miliardi questa è considerata rapina. Il confine tra il bianco e il nero sfuma inevitabilmente in un grigio indefinito – non senza qualche semplicismo di troppo.
La bilancia pende a favore dei rapinatori: la voglia di riscatto sociale (evocata dalle parole della sigla), il loro passato controverso e doloroso (rivelato allo spettatore tramite i flashback), la loro gentilezza nei confronti degli ostaggi e l’attaccamento ai principi morali si scontrano con la scorrettezza della polizia, che tra diffamazioni e sparatorie precipitose presenta una pessima immagine di sé, impacciata e violenta (tanto che addirittura l’opinione pubblica spagnola appoggia i rapinatori). La Casa di Carta ci presenta quindi un affresco che si concentra sulla dicotomia tra criminali e polizia: la serie non dimentica che esiste un’intera Spagna che guarda e che giudica. Un grande personaggio collettivo che resta sullo sfondo, che permette di comprendere come la rapina ideata dal Professore non miri esclusivamente al denaro ma voglia rappresentare anche una denuncia sociale con venature populiste, in un contesto sociopolitico che definire complesso è un eufemismo.
LA COMPONENTE MELÓ E I PROBLEMI DELLO SCRIPT
Antena 3, la rete che ha prodotto La Casa Di Carta, è soprattutto famosa per le soap opera: si tratta infatti della stessa emittente de Il Segreto, che in Italia va in onda su Canale 5. Considerato il contesto, gli autori non potevano esimersi nel dare una spolverata di melò a questo show: ciascuno dei personaggi principali de La Casa Di Carta ha avuto o è coinvolto in una complicatissima e tormentata storia d’amore. Seppure questa pennellata di inverosimiglianza possa irritare qualcuno, bisogna chiarire che paragonare La Casa Di Carta ad una qualunque telenovela è fuori luogo. Il filone rosa, seppur presente, non soffre di un’eccessiva stereotipizzazione né costituisce l’ossatura della storia, ma si limita a far da supporto e alleggerimento alla trama. I problemi della sceneggiatura sono altri, e cioè le repentine forzature per far avanzare il rapporto tra i comprimari, o la ricerca grossolana dello stupore con colpi di scena improbabili.
Nonostante i mutamenti siano veloci il tempo della narrazione è molto dilatato, sovrapponendosi rispetto alla durata effettiva degli eventi: flashback, cambi di ambientazione e lunghe sequenze, che seguono dettagliatamente ogni azione dei rapinatori, fanno sì che i cinque giorni vengano distribuiti in più di 15 ore di girato. La percezione distorta del tempo porta il pubblico dunque a non considerare gli sconvolgimenti all’interno delle relazioni così repentini: la serie in questo modo impone il proprio ritmo.
LUCI ED OMBRE DELLA SERIE, IN ATTESA DELLA TERZA STAGIONE
Passaggi illogici, colpi di scena contorti e storie d’amore melodrammatiche sono soluzioni di scrittura fin troppo semplici, che penalizzano La Casa Di Carta ma che al contempo contribuiscono proprio a decretarne il successo presso un target che Antena 3 conosce bene. Il calore umano dei personaggi, l’esaltazione della lotta antisistema, i rimandi simbolici e la logica filosofica che sostiene l’impalcatura narrativa sono invece quegli elementi che funzionano meglio su un pubblico più trasversale, cogliendo in modo furbo lo zeitgest della nostra epoca. Sul fatto che La Casa de Papel sia un grande successo per Netflix non ci sono dubbi: senza dati di visione più che solidi, il servizio di streaming non avrebbe deciso di produrre direttamente la terza parte dello show (annunciata per il 2019). Il problema è che una storia autoconclusiva come La Casa Di Carta rischia di diventare vittima del suo stesso successo: con nuove storie (o con l’approfondimento delle vite dei vari personaggi dopo la rapina), il pericolo dietro l’angolo è quello di realizzare un seguito ridondante, non all’altezza delle enormi aspettative di una community di fan sempre più entusiasta. Vedremo che direzione prenderà la storia sotto le redini di Los Gatos.