QUESTA RECENSIONE NON CONTIENE NESSUNO SPOILER
In una società protetta, anche il male si sente più al sicuro? Forse è questa la domanda a cui la miniserie Safe cerca di rispondere nei suoi otto episodi incredibilmente densi di segreti e colpi di scena.
Lo show, una coproduzione Canal + e Netflix andata in onda in Francia su C8 e poi distribuita dal web service nel resto del mondo, nasce dalla mente del celebre giallista Harlan Coben ma è perlopiù scritto dal Danny Brocklehurst di Shameless. A vestire i panni del protagonista un volto particolarmente amato della serialità televisiva: quel Michael C. Hall che ha fatto la storia del piccolo schermo dapprima con Six Feet Under (5 stagioni) e poi con Dexter (8 stagioni).
Dopo un lungo periodo di assenza dagli schermi dovuto anche alla necessità di riappropriarsi della propria vita in seguito alla battaglia vinta contro un linfoma di Hodgkin (sconfitto prima di girare le ultime due stagioni di Dexter), qualche comparsata al cinema (anche nel recente Game Night) e un rapido passaggio come John F. Kennedy nel period drama Netflix The Crown, Hall torna finalmente a un ruolo da protagonista seppur per uno show destinato a concludersi, almeno per quanto è stato annunciato, in una sola stagione.
L’attore americano, che stavolta si cimenta con un personaggio britannico, non ha perso il proprio smalto e dimostra di essere perfettamente a suo agio nei panni del dott. Tom Delaney, ruolo distante da quello del celebre serial killer televisivo, ma di cui, a ben guardare, sullo sfondo conserva il tema di un’apparente, inquietante, “normalità”.
Tom è un chirurgo pediatrico che vive con due figlie nella periferia inglese, in un quartiere esclusivo e rispettabile. Una comunità protetta, cui si accede da un cancello videosorvegliato, così come a tutte le strade e i nuclei abitativi di quel territorio. Ha appena perso la moglie Rachel, morta di cancro. L’elaborazione del lutto deve fare i conti anche con le sue zone d’ombra relative al rapporto con la donna e al decorso della sua malattia, che non sempre lo ha visto presente. Una sera la figlia Jenny (Amy James-Kelly) esce con Chris Chahal (Freddie Thorp), un suo amico più grande lei, ma la mattina successiva Tom si accorge che la figlia non è tornata a casa e di lei si sono perse le tracce nonostante le innumerevoli telecamere piazzate in quel lembo di terra dove fino a quel momento sembrava che tutto fosse trasparente, visibile, cristallino. Per Tom inizia quindi la ricerca della figlia che, per lo spettatore e per gli abitanti della comunità, rappresenterà anche un progressivo disvelarsi di segreti, bugie, e misteri, rivelando una realtà sommersa e allarmante che pian piano sbriciolerà la facciata cordiale e asettica della cittadina.
Guardando Safe non si può non pensare a Twin Peaks. Sin dai primi episodi ci troviamo di fronte ad una piccola comunità, con tanti personaggi, ognuno dei quali con segreti inconfessabili. Ma se lo sguardo autoriale di Lynch preferisce soffermarsi sulla psicologia di ogni singolo personaggio, concedersi una certa ironia o esplorare suggestioni metafisiche, i tre registi di Safe (Julia Ford, Daniel O’Hara e Daniel Nettheim) mirano dritti al susseguirsi dei fatti, in un turbinoso affastellarsi di rivelazioni.
La rapidità con cui si avvicendano sullo schermo i colpi di scena purtroppo non basta a tenere incollato lo spettatore e suscitare in lui quella sana e “perversa” passione che in altri casi lo spingerebbe compulsivamente a desiderare di arrivare in fretta fino all’ultimo episodio. Da questo punto di vista qualche piccola responsabilità va individuata nella sceneggiatura, dove i flashback non sempre sono sufficienti a riempire i vuoti di una storia che, strutturalmente lineare sul filone degli scomparsi, ogni tanto subisce la tentazione di strafare dove non ce ne sarebbe stato bisogno.
La realizzazione tecnica dello show è spesso eccellente (ad eccezione delle scenografie, decisamente insignificanti), ma quando nel momento clou della puntata viene spontaneo chiedersi come si sia arrivati all’ennesimo colpo di scena, cade automaticamente ogni tentativo di apprezzare qua e là orpelli probabilmente un po’ troppo macchinosi e farraginosi e viene quasi nostalgia di una certa banalità – che paradossalmente subentra nell’ultimo episodio.
A scanso di equivoci va però detto che Safe è un prodotto che vale la pena di vedere, anche solo per l’interpretazione di un Michael C. Hall in ottima forma o per quella di Amanda Abbington (la moglie del Dr. Watson in Sherlock). Al loro fianco un cast particolarmente nutrito di talenti poco noti ma non per questo meno convincenti, sempre supportati da una regia accorta e solida. Non escludiamo un ritorno, magari sotto forma di serie antologica.