Che spesso la forma del cortometraggio venga utilizzata per pitchare un’idea e cercare finanziatori per un film vero e proprio è cosa nota, ma riuscire a trasformare sei minuti e mezzo (titoli esclusi) di short film in un’ora e quarantaquattro di pellicola è tutt’altro paio di maniche. Eppure gli australiani Ben Howling e Yolanda Ramke (che firma anche la sceneggiatura) ci sono riusciti più che egregiamente, tanto che con Cargo – che mantiene il titolo del corto originario – hanno confezionato un lavoro non perfetto ma certamente appassionante e ricco di spunti.
Cargo, originale Netflix acquistato e distribuito sul mercato domestico e internazionale direttamente dal colosso di Los Gatos, ci cala in un mondo nel quale l’epidemia zombie ha già avuto la meglio, tanto che esistono kit medici appositamente studiati per gestire il suicidio prima che la transizione a morto vivente sia completa, i quali comprendono anche uno speciale orologio il cui unico compito è tenere il conto alla rovescia delle 48 ore che intercorrono tra il momento in cui si è morsi e la definitiva trasformazione.
Andy (Martin Freeman) è in fuga con la sua famiglia nell’outback australiano, e nonostante i viveri stiano finendo, la ricerca di ogni contatto con gli altri pochissimi sopravvissuti è sconsigliata: in tempo di apocalisse è bene diffidare di chiunque. La situazione non può che essere destinata a degenerare, e in seguito a una serie di sfortunate circostanze Andy si ritrova a dover attraversare le ostili distese del luogo da solo, avendo come unica compagnia l’amata figlia neonata. Adesso però l’uomo è infetto, e gli rimangono solo due giorni per portare in salvo la piccola e trovarle una famiglia che possa garantirle un futuro prima di trasformarsi in uno zombie.
Come è chiaro dal soggetto, non siamo davanti a un racconto horror, ma a un dramma che utilizza gli elementi del cinema di genere solo come detonatore per una storia che fa delle emozioni il proprio fulcro. È proprio questo uno dei pregi principali del film: riuscire ad arricchire di significati ed empatia un filone che troppo spesso è schiavo di una noiosa ripetitività, e al contempo ne è uno dei problemi, nella misura in cui i toni finiscono per essere tanto pessimistici da rendere la visione più pesante di quanto non sarebbe lecito aspettarsi.
Per variare l’essenziale idea iniziale, la Ramke espande notevolmente gli orizzonti narrativi, riflettendo anche sulla sua terra di provenienza e introducendo il tema della tribalità aborigena e del ritorno alle origini, che diventa così uno degli elementi più importanti del lungometraggio. Fa parte di tale disegno anche l’inserimento di una bambina rimasta orfana che incrocerà la propria strada con Andy, che però finirà per ricordare un po’ troppo La Ragazza Che Sapeva Troppo, altro apprezzabilissimo zombie movie distribuito (in questo caso fuori dai paesi anglofoni) da Netlifx e premiato al Sitges. Di altra natura è l’inserimento del personaggio interpretato da Anthony Hayes: un antagonista umano che è indispensabile per ampliare la storia del cortometraggio ma che finisce per risentire di troppi cliché per risultare interessante. Degno invece di menzione il ritorno di Andy Rodoreda, protagonista del cortometraggio che qui torna nel piccolo ruolo terribilmente amaro di un padre di famiglia.
Cargo è un lavoro ottimamente realizzato, in cui i registi mostrano anche una certa evoluzione stilistica – soprattutto nell’uso della camera a mano e dello zoom – ma nel quale alcuni degli elementi aggiunti finiscono per integrarsi solo parzialmente con l’idea iniziale. La soluzione adottata verso la fine dal protagonista per salvare la figlia rimane uno dei momenti più interessanti di Cargo, ma qui viene relegata a una manciata di inquadrature in chiusura di film, mentre avrebbe decisamente meritato più spazio. A rappresentare la più grande forza del film senza dubbio l’interpretazione intensa e naturale di Martin Freeman, che si conferma uno degli attori più solidi e sottovalutati del cinema contemporaneo.