la recensione potrebbe contenere spoiler sulla prima stagione di Tredici e spoiler minori sulla seconda stagione.
Quando la prima stagione di Tredici (in originale 13 Reasons Why) si concluse, l’impatto che ebbe sul pubblico rese chiaro che non si trattava del classico teen drama young adult. La storia di Hannah Baker (Katherine Langford), protagonista che moriva suicida a inizio stagione, era un collante che teneva insieme i vari personaggi, legati tra loro da alcune cassette audio che Hannah aveva lasciato per spiegare le ragioni del suo gesto e che li vedevano protagonisti, dunque “complici”, della sua terribile decisione. Sarebbe stato in particolare Clay Jensen (Dylan Minnette) a cercare di fare giustizia in suo nome, raccogliendo addirittura la testimonianza del suo stupratore Bryce Walker (Justin Prentice) senza però riuscire ad avere un riscontro dalla legge.
È proprio da qui che parte la seconda stagione di Tredici. A distanza di cinque mesi dalla sua morte, e dopo essere venuti in possesso delle cassette grazie alla mediazione di Tony (Christian Navarro), i genitori di Hannah decidono finalmente di fare causa alla scuola, rea di non aver ascoltato le numerose richieste di aiuto alla figlia, che è così arrivata alla decisione finale di togliersi la vita. Intorno alla vicenda legale, ci sono ancora i compagni di scuola di Hannah che cercano ora di vivere con tutte le conseguenze che il suicidio della ragazza ha portato nel loro mondo: Clay si convince di aver superato il tragico evento, ma l’inizio del processo fa riaffiorare in lui il dolore per la morte di Hannah, di cui era profondamente innamorato, tanto da vederla come fosse in carne ed ossa e avere lunghe conversazioni con lei. Jessica Davis (Alisha Boe) inizia un percorso di supporto per superare il trauma di essere stata violentata da Bryce, ma non riesce ancora a denunciarlo; Alex (Miles Heizer) sta affrontando la guarigione dopo aver tentato egli stesso di suicidarsi sparandosi in testa, mentre Zach (Ross Butler) è fortemente combattuto tra la volontà di agire in favore di Hannah e il suo futuro di giocatore di baseball nella squadra della scuola accanto agli stessi ragazzi che si sono macchiati di bullismo verso molti loro compagni. A complicare tutto, la comparsa di alcune foto fatte arrivare a Clay in maniera anonima, che potrebbero provare la colpevolezza di Bryce e il coinvolgimento della scuola nel suicidio di Hannah.
La questione spinosa riguardo la seconda stagione di Tredici è stata, fin dall’annuncio della sua realizzazione, se fosse davvero necessaria o se si stesse invece procedendo verso un proseguimento forzato della storia in modo da sfruttare il più possibile il successo della prima stagione. In quest’ultima, effettivamente, il plot si concludeva con Tony che consegnava le cassette ai signori Baker lasciando presagire finalmente l’intervento delle autorità riguardo il bullismo imperante nella Liberty High School e le colpe di Bryce, chiudendo così l’indagine di Clay e salutando il personaggio di Hannah. La forza della serie era stata non solo quella di dipingere uno spaccato della vita culturale dell’America contemporanea in cui la depressione nei giovani ha un impellente bisogno di essere ascoltata, ma anche quella di aver portato avanti una narrazione fortemente ambigua in grado di tenere lo spettatore in un’eterna lotta tra l’immedesimazione con i personaggi e il loro rinnegamento a causa delle loro azioni così descritte nelle cassette di Hannah. I ruoli di vittima e carnefice si confondono lungo tutta la prima stagione senza mai trovare volutamente risoluzione, promuovendo una partecipazione non solo critica, ma soprattutto etica, da parte del pubblico.
Da qui, allora, iniziano i problemi della seconda stagione di Tredici. Nonostante il creatore della serie Brian Yorkey, insieme agli sceneggiatori, abbia prediletto ancora una volta il realismo della narrazione, grazie soprattutto all’ispirazione a fatti realmente accaduti – e le successive risposte da parte dei tribunali – in America negli ultimissimi anni, la forzatura del proseguimento della storia è evidente. Gli spunti su cui costruire una possibile seconda stagione erano comunque davvero pochi. Se Alex si era sparato in testa e un altro personaggio, Tyler, lasciava presagire una possibile strage tra le mura della scuola, era anche vero che l’obiettivo di creare un pensiero del pubblico riguardo la colpevolezza, il bullismo e il senso di giustizia, si era sufficientemente raggiunto. Il finale consolatorio non era certo una priorità dei creatori né una prospettiva del tutto possibile se il motore stesso dell’azione era la vicenda di un personaggio che già sappiamo essere morto. Ecco che allora, la sceneggiatura della seconda stagione, scaglionata in puntate molte delle quali poco necessarie, decide di procedere verso nuove storyline forzate e spesso in contrasto con quanto accaduto nella prima stagione, tenute insieme dalla cornice narrativa del processo alla scuola da parte dei Baker. Il mistero delle polaroid, che dal trailer sembravano fossero il cuore della stagione, si pone semmai come spunto per portare avanti una linea investigativa condotta dai protagonisti tramite azioni irrealistiche e prive di senso logico, risultando infine debole nella risoluzione della vicenda. Infatti viene anche a mancare quella caratterizzazione che invece era stata tanto accurata nella prima stagione, creando così un compendio di personaggi molto simili tra loro in uno sfondo ormai piatto e senza tenacia.
Per contrastare queste lacune evidenti nella sceneggiatura, i creatori hanno puntato su un forte impatto emotivo: l’elaborazione del lutto è la vera tematica di questa stagione e Clay in particolare cerca il modo di andare avanti nonostante l’assenza di Hannah, ma la presenza di lei sotto forma di allucinazione o meglio proiezione del suo dolore, non è sempre integrata perfettamente alla sceneggiatura, risultando spesso banale e fuori luogo rispetto invece agli inediti flashback che qui raccontano meglio alcuni lati della vita di Hannah che non avevamo conosciuto nella prima stagione. Purtroppo però, tutto questo viene totalmente messo in ombra non tanto dall’evoluzione del processo contro la scuola, quanto invece dalle vicende dei protagonisti che qui perdono totalmente la loro ambiguità per favorire un procedimento della storia sotto il segno della fiction.
L’interesse sociale che Tredici aveva svegliato con la prima stagione, così come le metafore delle dinamiche di potere, che proprio Hollywood ha aperto sul mondo, e il carattere brutalmente veritiero della serie, sono ancora flebilmente presenti, facendo ora spazio a svolte narrative scontate, in favore di una spettacolarizzazione estrema che amaramente relega questa serie in un genere di classico prodotto per teenager, con svolte dark.