Ash, secondo film diretto da Li Xiaofeng, è un thriller cinese del 2017 che, prima di passare per l’Asian Film Festival, ha partecipato in molti festival internazionali come quello di Busan e il Festival di Göteborg del 2018, raccogliendo spesso ottime recensioni.
UNA CRIME STORY COSTRUITA ATTRAVERSO I FLASHBACK
In un cinema di Chonqing viene trovato il corpo di un uomo a cui è stata tagliata la gola. Sul caso indaga Chen Weikun (Yuan Nie), un giovane poliziotto della zona: interrogando la famiglia scopre che la vittima era un alcolista violento e che spesso picchiava sia la moglie che Xu Feng (Peng Xin), il figliastro. Dieci anni dopo il caso non è stato ancora chiuso e, grazie ad una strana coincidenza, Chen incrocia il suo cammino con Wang Dong (Jin Luo), un promettente medico noto a tutti per le sue opere di bene. Da qui in poi Wang diventa il protagonista del film: veniamo a conoscenza del passato del dottore, diventato amico di penna di Xu Feng dopo che quest’ultimo ha trovato in un mercato una vecchia copia di Resurrezione di Tolstoj appartenuta a Wang.
UNA PELLICOLA DALLO SCRIPT NON PERFETTO MA ESTETICAMENTE SUGGESTIVA
Li Xiaofeng gira una crime story estremamente inusuale, in cui l’enfasi non viene posta sulle indagini portate avanti dall’agente Chen quanto sullo svelamento graduale delle vicende che hanno portato all’omicidio nel cinema. Se da una parte va sottolineata l’originalità della struttura di Ash, dall’altra va detto che la gestione dei flashback è piuttosto caotica (soprattutto all’inizio). I continui salti temporali sono una trovata interessante per raccontare la storia in maniera non convenzionale ed interessante ma spesso lo spettatore è costretto a concentrarsi così tanto sulle meccaniche della narrazione da perdere per strada il cuore del film ovvero la sua analisi dell’etica e della morale dei suoi protagonisti. Troppo spesso ci si chiede in quale epoca siano ambientate le vicende mostrate, dato che i continui flashback finiscono per essere piuttosto confusionari, ed è davvero un peccato.
Il vero punto di forza di Ash è invece nella sua realizzazione tecnica: la regia di Li è elegantissima e si sposa alla perfezione con la fotografia di Joewi Verhoeven, capace di comporre delle immagini assolutamente meravigliose grazie ad un uso del colore davvero magistrale. Pensiamo a scene come quella dello scontro tra Wang e Xu nel cimitero irradiato da una luce rossa ipersaturata, in grado di creare un’atmosfera quasi surreale, o all’omicidio in riva al lago, dove il sole del mattino viene reso con delle sfumature arancioni che sono una gioia per gli occhi. Probabilmente in fase di montaggio si potevano accorciare alcune sequenze che si protraggono per troppo tempo senza apparente motivo (se non quello di ammirare il lavoro svolto da Verhoeven). Va segnalata anche la colonna sonora di Simon Fisher Turner che si adatta splendidamente al tono delle inquadrature, creando tensione nei momenti giusti, nonostante suoni in maniera dissonante perché non si amalgama mai realmente con il lungometraggio.
Li Xiaofeng ha dimostrato con Ash di essere un autore capace di imporre la propria impronta in un film di genere ma al contempo ha fatto emergere alcune sue piccole ingenuità e una non perfetta padronanza della scrittura (similmente a quanto fatto da Yinan Diao nel 2014 con Fuochi d’Artificio In Pieno Giorno); nulla che non sia migliorabile col tempo, facendoci ben sperare per il futuro.