Holiday è il film d’esordio indipendente del giovane regista cinese Chen Zhihai, opera presentata in anteprima italiana all’Asian Film Festival di Bologna.
UNA STORIA DI OMOSESSUALITÀ NELLA CINA PIÙ RURALE
La famiglia di un ragazzo fa pressioni affinché lui si sposi al più presto, nonostante sia segretamente innamorato di un suo amico molto più giovane da poco divorziato e messo sotto pressione dalla ex moglie, che lo minaccia di non fargli più rivedere suo figlio.
UN FILM DAL SOGGETTO INTERESSANTE MA ARTISTICAMENTE PRETENZIOSO
L’esordio di Chen Zhihai è un prodotto indipendente che tratta temi di attualità, come quello dell’omosessualità, mettendoli a confronto con la Cina più rurale e tradizionalista, ancora strettamente legata ai matrimoni combinati e di convenienza.
Il problema di Holiday sta tutto nella pretese artistiche di Chen, che gira una pellicola in un bianco e nero così scuro da far risultare quasi del tutto incomprensibili le numerose scene notturne, composte da inquadrature lunghissime ed estenuanti che evitano di seguire i protagonisti per concentrarsi sul piccolo paesino della Cina montana, andando a creare un distacco enorme dalle vicende narrate. Non solo l’omosessualità del protagonista viene quasi celata fino alla fine ma non riesce a risaltare nemmeno il contrasto con il tradizionalismo della sua famiglia.
Holiday è un film lento, lentissimo, che si sofferma su dettagli il più delle volte inutili con il chiaro intento di qualificarsi come opera d’arte contemplativa. Il problema è che non basta avere una telecamera tra le mani per poter essere artisti (né tanto meno far dire ad un personaggio che il cinema è tutto spari e omicidi e che quelle cose non ti interessano).
Chen fa prevalere la forma sul contenuto nonostante le didascalie che, in coda al lungometraggio, vorrebbero sottolineare il contrario ma il risultato è un’opera vuota, difficilmente comprensibile e che di artistico o poetico ha davvero poco. La denuncia sociale finisce per scomparire tra i piani lunghissimi che mostrano popolani che cantano per interi minuti o il bestiame che pascola nei campi, mentre l’innegabile bellezza di alcune inquadrature (come ad esempio quella in cui i due protagonisti parlano in riva al fiume) è costretta a convivere con alcuni spezzoni girati con un cellulare.