Molte delle scelte artistiche che si possono trovare in Resina di Renzo Carbonera tradiscono l’estrazione artistica del regista: formatosi dirigendo documentari, gran parte dei quali dedicati alla propria terra, il regista riesce a trasporre nel suo lungometraggio d’esordio tutto l’amore per il dettaglio tecnico proprio di un documentarista, confezionando un’opera che, prendendo in considerazione la qualità media delle piccole produzioni del nostro paese (e tralasciando quelle che sono le eccezioni migliori di questi ultimi anni), ha per qualità di regia e di fotografia pochi precedenti nel panorama nazionale.
Ambientato a Luserna, enclave trentino in cui ancora resiste il tradizionale cimbro (lingua che deriva direttamente dall’antico germanico), la storia di Resina segue il ritorno a casa di Maria (Maria Roveran), disillusa violoncellista di talento, a seguito della morte del fratello, pompiere e coltivatore nel tempo libero che è rimasto vittima di un incidente col proprio trattore. Trasferitasi per cercare lavoro, il ritorno alla realtà montana di Luserna verrà inizialmente vissuto con un senso di disaffezione nei confronti della piccola comunità di origine, legata a uno stile di vita che poco bene si sposa con le necessità di una donna che ha scelto di vivere la propria vita in città abbandonando tutti i propri affetti. Sarà l’entusiasmo di Quirino (Thierry Toscan), burbero direttore del coro in lingua cimbro del paese, a far rinascere in Maria la passione per la musica e per la propria terra.
Presentato in anteprima all’ultima edizione del Trento Film Festival e ispirato al Coro Polifonico di Ruda, Resina è un ottimo biglietto da visita per il Trentino Alto Adige, regione meravigliosa che sta iniziando a vivere e a far fronte alle conseguenze di una situazione climatica che sta lentamente ma senza sosta accorciando la stagione invernale, sciogliendo le nevi montane anzitempo. In Resina questa emergenza climatica fa da sotto-testo a tutta la pellicola, e a riprova di quanto la questione ecologica sia a cuore a Carbonera, la sua pellicola d’esordio è al la prima produzione cinematografica ad applicare il protocollo T-Green della Trentino Film Commission, atto alla riduzione dell’impatto ambientale durante la lavorazione del film. Da quella che potrebbe sembrare una limitazione, Carbonera riesce a tirare fuori il meglio della propria idea di regia sfruttando quasi unicamente luci naturali (ottimo in tal senso il lavoro del direttore della fotografia Harald Erschbaumer) e riuscendo a dar vita a una produzione che ha nella qualità delle inquadrature e delle immagini mostrate il proprio fiore all’occhiello, un meraviglioso biglietto da visita per il Trentino.
Quello che però Resina guadagna in regia lo cede a volte nella scrittura, unico punto debole di un film comunque degno di nota: la necessità cristologica che continua a pervadere buona parte delle produzioni italiane qui si fa ingenua e pressante, poco aggiungendo a una storia che sarebbe comunque valso la pena raccontare. Altra piccola nota stonata è legata al moderato utilizzo della lingua Cimbra: in una pellicola che vede in scena molti esordienti, avrebbe forse giovato sfruttare di più l’espediente narrativo di una lingua inusuale, limando così le inevitabili imperfezioni legate agli esordi in scena.
Resina è uno splendido spot per la regione Trentino, ben girato e fotografato, a cui fanno da colonna sonora le meravigliose musiche di Luca Ciut e le voci ancora migliori del Coro Polifonico di Ruda, e che avrebbe giovato di un ulteriore passo nella direzione del cinema del reale da parte di Carbonera. In sala dal 31 maggio con Parthénos distribuzione.