Arrivato nelle nostre sale a tre anni dal soft reboot firmato da Colin Trevorrow, Jurassic World: Il Regno Distrutto (titolo originale Jurassic World: The Fallen Kingdom), il secondo capitolo della nuova trilogia tratta dalla saga avviata 25 anni fa da Steven Spielberg, debutta finalmente in edizione home video su supporto Blu-Ray, Blu-Ray 4K, Steelbook e DVD. Dietro la macchina da presa l’ottimo J.A. Bayona (The Orphanage, The Impossible, Sette Minuti Dopo la Mezzanotte), mentre Trevorrow torna a firmare lo script insieme a un altro co-sceneggiatore del precedente capitolo, Derek Connolly (Kong: Skull Island).
Il porting dell’edizione blu-ray che abbiamo avuto modo di vedere è di qualità eccellente (proprio quello che ci si aspetterebbe da una pellicola del genere, capace di spremere il meglio da un buon impianto video casalingo), mentre non delude l’assortimento di contenuti speciali, tra i quali troviamo numerose featurette e scene extra (I Diari Giurassici di Chris Pratt, Via alle Offerte, A Morte il Dinosauro, Il Ritorno di Malcolm, Sul Set con Chris e Bryce, Il Regno si Evolve, La Nascita dell’Indoraptor, Scontro Finale sul Tetto, Un Mostro a Palazzo e molto altro ancora).
Non è però tanto la componente tecnica legata al supporto a interessarci, quanto quella artistica, e ora più che mai Bayona dimostra un grandissimo talento registico, che regala movimenti di macchina di grande impatto e un paio di inquadrature che rimarranno nella storia della saga (memorabile quella della morte di un apatosauro e quella dei riflessi sovrapposti sulla vetrina di un diorama), e a colpire è uno script che non solo non manca di offrire momenti spettacolari nel più consolidato stile Hollywodiano, ma che per la prima volta riesce a recuperare la forza provocatoria del film del 1993 e che al contempo spinge il futuro della saga verso lidi inesplorati.
LA SECONDA ESTINZIONE DEI DINOSAURI E L’AVIDITÀ DEGLI UOMINI
Di Jurassic World, il parco del precedente film, non rimangono che edifici abbandonati: nessuno ha più messo piede su Isla Nublar e le creature preistoriche si sono riappropriate dell’habitat naturale. Ora però un’eruzione di proporzioni catastrofiche minaccia di distruggere l’isola e quindi di estinguere nuovamente i dinosauri, e l’opinione pubblica si ritrova divisa su quale linea d’intervento sia più etica. Su richiesta di Benjamin Lockwood (James Cromwell), genetista miliardario che creò il Jurassic Park insieme ad Hammond, i già noti Owen Grady (Chris Pratt) e Claire Dearing (Bryce Dallas Howards) partono per una spedizione di salvataggio, aiutati da un rude cacciatore (Ted Levine), da una veterinaria idealista (Daniella Pineda) e da un informatico pavido (Justice Smith). Sarà però presto evidente che sulla terraferma quei dinosauri sono merce ambita dal mercato nero, soprattutto se c’è qualcuno che nel frattempo sta cercando di progettare geneticamente il predatore perfetto per venderlo al miglior offerente.
I DUE ATTI, L’EREDITÀ E L’INNOVAZIONE
Jurassic World: Il Regno Distrutto è chiaramente diviso in due atti: uno è ambientato su Isla Nublar e racconta con toni da blockbuster apocalittico il tentativo di salvataggio dei dinosauri dal cataclisma incombente, mentre l’altro assume connotati horror e ci porta sul suolo americano, concentrandosi sul tema del traffico illegale di dinosauri e sulle implicazioni di una genetica senza alcun limite etico.
I parallelismi con Il Mondo Perduto: Jurassic Park (1997) sono evidenti, eppure, nonostante molti passaggi simili, la pellicola riesce a non soccombere alla nostalgia e anzi a portare la narrazione in una direzione inedita e – per quanto riguarda un personaggio in particolare – addirittura ardita. Quello in cui The Fallen Kingdom riesce meravigliosamente (molto più di quanto non facesse il film del ’97) è invece cogliere le atmosfere del The Lost World letterario, dando a più riprese l’impressione di trovarsi direttamente tra le pagine del romanzo di Michael Crichton.
Il dilemma sollevato dall’opportunità di salvare da un’estinzione naturale degli animali “de-estinti” riporta per la prima volta e con prepotenza nella saga la tematica etica, che tanto fece parlare del primo Jurassic Park quando nel ’93 uscì al cinema; eppure è un altro l’elemento della trama (che non vi spoileriamo) che ancor più calca la mano in tal senso, arricchendo quello che avrebbe potuto essere un semplice popcorn movie di una dimensione tutt’altro che superficiale.
I DINOSAURI, TRA LESSIE E SHYAMALAN
I personaggi – come da sempre nel franchise filmico quanto nei romanzi di Crichton – ripropongono figure stereotipate in un mix piuttosto preciso, che è poi quello che tanto contribuisce a dare alla serie quel sapore per famiglie à la Spielberg. Altrove una caratterizzazione tanto grossolana diventerebbe un problema, ma non essendo una novità e anzi rappresentando una costante della saga, non dà certo fastidio.
Paradossalmente sono i dinosauri a godere del trattamento più interessante in fase di sceneggiatura, e se l’inserimento del t-rex sembra sempre dovuto e forzato (quasi a riconoscerne la grandezza nonostante resti sostanzialmente fuori scena), è il velociraptor Blue a finire sotto i riflettori, in particolare in relazione al suo legame col personaggio di Pratt: i flashback in cui l’animale ancora cucciolo cerca le coccole dell’addestratore sono destinati a diventare un instant cult.
Il grande villain del film, l’indoraptor (incrocio genetico di indominus rex e velociraptor), a modo suo prepara indirettamente il terreno per il prossimo installment (in cui però non vedremo più ibridi), ma non sembra un inserimento troppo forzato nella narrazione e, in fin dei conti, non è più inverosimile di altre fantasiose ricostruzioni della saga (il velociraptor stesso, nella realtà paleozoologica, era molto più piccolo, con proporzioni diverse del muso, dotato di denti meno aguzzi e coperto di piume).
Dal punto di vista filmico, le primissime scene ci ricordano i momenti migliori dello Spielberg del ’93, costruendo un perfetto rapporto di scala, rendendo ben percepibile il pericolo ma mostrando a malapena la minaccia costituita dai dinosauri, grazie a un sapiente uso del buio e della prospettiva. Andando avanti nel film il linguaggio cambia e la linea tra pseudoscienza e fantasy si fa meno netta nel tono, con la scena dell’indoraptor nella camera della nipotina di Lockwood che ha quasi echi shyamalaniani.
In conclusione questo Jurassic World: Il Regno Distrutto di Bayona è un film in cui non mancano gli ammiccamenti fin troppo spettacolari ma che, proprio coerentemente con il DNA di Jurassic Park, garantisce poco più di due ore di intrattenimento di alta qualità, che non mancano di sollevare qualche spunto di riflessione sulle frontiere della scienza. Al termine della pellicola è chiaro che il terzo film della nuova trilogia prenderà una direzione completamente diversa e, a quel punto, sarà molto interessante confrontare il ritorno dietro la macchina da presa di Trevorrow tanto con il suo riuscito ma non originalissimo soft reboot quanto con questo ottimo episodio di mezzo.