Dopo Safe e Lontano dal Paradiso il regista statunitense Todd Haynes torna a dirigere Julianne Moore nell’adattamento cinematografico de La Stanza delle Meraviglie (Wondestruck) best-seller di Brian Selznick. Autore de La Straordinaria Invenzione di Hugo Cabret, portato sul grande schermo da Martin Scorsese, Selznick firma la sceneggiatura di questo ultimo lavoro, cercando di rimanere il più fedele possibile al romanzo, lasciando ampio spazio alla trasposizione cinematografica delle illustrazioni, che ne caratterizzano lo stile.
Comunicare l’arte illustrata che si trova in un libro per ragazzi con il linguaggio cinematografico non è mai un’operazione facile, ma Todd Haynes riesce a cogliere quella sensibilità onirica che ne è la caratteristica, presentando un lungometraggio poetico, cui vengono perdonati alcuni evidenti buchi di sceneggiatura a favore della complessità del girato. La storia non offre spunti particolarmente innovativi ma i contenuti visivi, articolati con vari stili cinematografici e distinti in due epoche differenti, rendono La Stanza delle Meraviglie un film interessante, che racconta di come bambini ed adulti trovino insieme il modo per realizzare se stessi e i propri sogni.
Ben (Oakes Fegley) e Rose (Millicent Simmonds) sono due bambini che vivono in epoche differenti, le loro storie procedono parallelamente e sono accomunate dal desiderio di affermare se stessi ed emanciparsi dal mondo rassicurante della famiglia, per esplorare nuovi territori in cui essere liberi di esprimersi.
Ben vive nel 1977 nel Minnesota, ha da poco perso sua madre Elaine (Michelle Williams), la bibliotecaria della piccola città in cui è cresciuto. Spinto dalla volontà di conoscere suo padre, Ben riesce a trovare un indizio scritto sul segnalibro di un originale volume (il Wonderstruck che dà il titolo al film), nascosto tra i libri della madre. E’ l’indirizzo di una libreria di New York, che Ben cerca di contattare prima di essere fermato da un fulmine che lo colpisce in pieno. Risvegliatosi in ospedale, il dodicenne si rende conto di aver perso l’udito a causa dell’incidente, ma non perde affatto la speranza di poter conoscere suo padre, così decide di scappare e intraprendere un viaggio in autobus fino a New York, dove spera di poter raggiungere la libreria e finalmente ricongiungersi con la figura paterna.
Rose è una ragazzina sordomuta del New Jersey e la sua storia è ambientata nel 1927, cinquant’anni prima rispetto a quella di Ben. Intelligente e ribelle Rose proviene da una famiglia agiata e sogna di poter incontrare la famosa stella del cinema muto Lillian Mayhew (Julianne Moore) di cui è una grande ammiratrice. Nella speranza di poter raggiungere l’amato fratello Walter, che lavora nel Museo di Storia Naturale della Grande Mela, Rose sola e persa nel “rumoroso silenzio” della metropoli, vivrà un’avventura che le insegnerà molto su se stessa.
Ben e Rose, seppur separati da due epoche diverse troveranno un contatto in quella che è la Stanza delle Meraviglie del Museo di Storia Naturale (narrato in numerosi film e libri). Le loro storie si intrecceranno durante tutto l’iter narrativo, per poi culminare in un finale sorprendente.
Per entrambi, non udenti, viaggiare da soli e interfacciarsi con gli abitanti di una megalopoli come New York si rivela un’esperienza senza precedenti, che segna il momento del passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza. Il dolore interiore, la voglia di emanciparsi e iniziare a risolvere i propri dubbi esistenziali, iniziando dalla ricerca della figura materna e paterna e il desiderio di trovare un amico con cui confidarsi sono solo alcuni dei temi trattati in questo lungometraggio, scritto per i ragazzi ma godibile anche dal pubblico adulto.
La forza de La Stanza delle Meraviglie si ritrova nella tecnica registica utilizzata da Haynes, che conferma la grande esperienza e sensibilità dimostrata nei suoi film precedenti, in particolare Carol (sei nomination agli Oscar 2015) e Lontano dal Paradiso (2012). Per le storie di Ben e Rose, Haynes utilizza il colore e il bianco e nero, in un gioco di contrasti che segnano sia il tempo che la mancanza del suono; mentre l’universo di Ben è caratterizzato dai colori accesi degli anni settanta e da una colonna sonora che spazia da David Bowie agli Sweet, non solo atta a scandire il tempo ma anche il suono che il ragazzo sente prima e dopo l’incidente, il mondo di Rose è invece silenzioso, ritmato dalla patina in bianco e nero tipica dei film muti, di cui la ragazzina è una grande appassionata.
La differenza tra suono e colore è la particolarità più evidente di questo lungometraggio, che purtroppo lamenta alcuni buchi nella sceneggiatura, che a tratti si rivela incompleta e poco dinamica. Tuttavia La Stanza delle Meraviglie è un lungometraggio piacevole ed educativo, dove l’universo onirico di Brian Selznick viene fuori attraverso differenti linguaggi artistici, tra cui il cinema, l’animazione, il diorama, i burattini. Un film consigliato a tutti i sognatori.