Essendo liberamente tratto dall’intricato e complesso Manoscritto Trovato a Saragozza di Jan Potocki, Agadah non poteva essere da meno. Il film di Alberto Rondalli è ambizioso, impegnativo da un punto di vista produttivo e anche logistico: tante location, decine di attori e di costumi. Girato in tre lingue diverse, nella sua nuova opera il regista de L’aria del lago mette bene in scena il piacere di raccontare e di filmare delle storie, senza però riuscire ad andare oltre la semplice narrazione.
Il film parla di Alfonso di Van Worden, un giovane ufficiale vallone che, nel maggio del 1734, per ordine di Re Carlo, deve dirigersi verso Napoli da Madrid. Nonostante un suo scudiero cerchi di dissuaderlo dall’attraverso l’altopiano delle Murgie, egli vi si avventura comunque, trovando sul suo cammino decine di personaggi esoterici come spettri, demoni, cabalisti, principesse e re. Ogni personaggio ha una storia da raccontare, all’interno della quale si dipanano ulteriori racconti e digressioni. Nel segno de Il Decamerone e Le Mille e Una Notte, Potocki e Rondalli si divertono a esplorare tutti i generi letterari, dal picaresco al racconto erotico, in un meccanismo labirintico di scatole cinesi.
È difficile rimanere indifferenti davanti al caso letterario del Manoscritto. Concluso da Potocki nel 1805, scritto in francese da un polacco, questo libro è così ambizioso da essere più grande del suo creatore. Ai fan dei fratelli Coen può ricordare il “Mentaculus” de A serious man, un quaderno nel quale il suo scrittore sosteneva di aver incluso una mappa dell’universo. Quello di Potocki era un progetto analogo: racchiudere dentro un libro tutti i generi letterari, divertendosi a raccontare per il piacere di farlo.
Per questo anche ad Agadah manca una coesione di fondo, un intreccio in grado di tenere lo spettatore incollato alla sedia per vedere cosa succederà. Fra splendidi castelli e spiagge pugliesi, le avventure di Alfonso (interpretato benissimo dal Nahuel Pèrez di 120 battiti al minuto) non riescono mai ad appassionare davvero, nonostante l’ottimo prova di tutto il cast, da Alessio Boni a Valentina Cervi, da una bellissima Caterina Murino a un barbuto Flavio Bucci.
Ciò che resta è un film bellissimo da vedere, colmo di dettagli scenografici e di costumi, forte di una regia che non ha paura di abbracciare tutte le possibilità esistenti: carrellate, scavalcamenti di campo e piani lunghi. Nel cinema italiano il “fantasy” è proprio il genere che manca, che fa più fatica e che non riesce a competere che la strapotenza d’oltreoceano (su tutti, Game of Thrones).
Agadah è invece ambizioso, un film cosmopolita dove recitano francesi, spagnoli ed italiani e che inventa a pensare in grande e soprattutto a scoprire un autore come Potocki che a scuola non viene studiato e che nei vari manuali non compare. In fin dei conti, l’opera di Alberto Rondalli è un piccolo kolossal, al quale non siamo abituati. Seppure con qualche difetto (dovuto ai limiti del romanzo più che al film) questo non è un film da perdere.