Nota dapprima ai cinefili per Io e Te di Bertolucci e poi al grande pubblico come la Bibi Mainaghi di 1992 e 1993, la giovane attrice siciliana Tea Falco è riuscita da subito a colpire in qualche modo l’immaginario collettivo, anche per via della caratterizzazione riservata al suo personaggio della serie Sky, su cui ha saputo in seguito ironizzare con grandissima intelligenza e ironia.
È evidente che la Falco è ancora in una fase particolarmente magmatica del proprio percorso artistico, e non stupisce che abbia quindi sentito la necessità di mettersi alla prova spostandosi anche dall’altro lato della macchina da presa, debuttando quindi alla regia e alla sceneggiatura (qui in collaborazione con Leonardo Malaguti).
Il risultato è Ceci N’Est Pas Un Cannolo, presentato in anteprima al Biografilm Festival 2018 – International Celebration of Lives: un visionario flusso di suggestioni che manifesta tutti i problemi delle opere prime meno fortunate.
Il lapalissiano richiamo al La trahison des images di Magritte, dipinto che ritraeva una pipa sotto la quale era riportata la dicitura «ceci n’est pas une pipe», anticipa già dalla parafrasi del titolo il carattere fortissimamente surreale (e surrealista) della produzione, che non a caso si apre con una sorta di recita amatoriale in cui un uomo e una donna di mezza età e dalla fortissima inflessione dialettale siciliana impersonano svogliatamente una Eva e un Adamo che battibeccano per stabilire se il frutto del peccato fosse una pera o una mela.
Idea molto interessante sulla carta, che però – come altri richiami intenzionalmente kitsch presenti nel metraggio – finisce per essere la mera interpunzione di un flusso piuttosto confusionario di testimonianze tra il documentario e l’allestito, che vogliono restituire un ritratto disordinato dei pensieri di persone comuni (spesso anziane) probabilmente tutte provenienti da un paesino della Trinacria.
Accendere la telecamera e lasciare più o meno carta bianca al soggetto che si sta riprendendo può essere un ottimo modo per documentare la spontaneità del reale e può riservare – e così accade – anche momenti decisamente ironici e improbabili. Se però non si riesce a individuare o a comunicare un filo conduttore che colleghi le ‘recite’ amatoriali, i pensieri decisamente poco interessanti di chi non sempre ha qualcosa da dire e qualche altro momento dadaista come quello – fantastico – di un anziano che declama enfatico un manifesto identitario tenendo in mano la testa di tonno, il risultato può essere nel migliore dei casi dispersivo.
A contribuire a rendere ulteriormente caotico l’insieme, vi è poi la costante ricorsiva di argomentazioni prese dal mondo della fisica teorica e trattate prevalentemente a sproposito, banalizzate alla stregua di assurdità new age. Un elemento che anziché fornire un’apprezzabile chiave di lettura sembra solo rincarare la dose di eccentricità autoreferenziale.
In conclusione Ceci N’Est Pas Un Cannolo è una produzione a tratti ironica e originale, ma altrettanto confusa, noiosa e compiaciuta, che non ha nulla a che fare con quello che potrebbe esser definitivo un prodotto filmico e afferisce decisamente di più al territorio della videoarte (dove, come ci ricorda Östlund in The Square, tutto è permesso). È evidente l’urgenza espressiva della Falco, ma il risultato è purtroppo mediocre e rivisto, tecnicamente scadente (i colori incredibilmente piatti di un inutile 4K pessimamente trattato non hanno giustificazioni) nonché incapace di comunicare qualcosa di più della passione dadaista della sua autrice. L’ambizione è quella di raccontare il senso della vita, la sfida è quella di trovare un senso al film.