Nel 1994 l’oceano si ritira misteriosamente dalla costa di Windholm, in Germania, lasciando dietro di sé chilometri di desolazione e causando la scomparsa di tutti i bambini del paese. Da allora la città è presieduta soltanto da pochi genitori in attesa dei loro figli e dall’esercito che controlla tutti coloro che entrano ed escono dalle recinzioni. A voler dare una risposta a questo strano fenomeno della natura è il giovane fisico Micha (Max Mauff), che decide di partire in direzione di Windholm nonostante l’università gli abbia negato i fondi e il permesso di eseguire ricerche. Insieme a Jana (Lana Cooper), figlia del rettore e sua vecchia fidanzata, Micha scopre i misteri di una natura incontrollabile, scontrandosi con i fantasmi del proprio passato.
Grazie a Mariposa Cinematografica esce al cinema Noi Siamo La Marea, opera tedesca del 2016 del giovane regista Sebastian Hilger. Al suo secondo lungometraggio, Hilger sceglie le fredde location nordiche per raccontare una sorta di favola dark, con velati rimandi alla fantascienza: non solo Micha e Jana indossano delle tute di protezione durante i sopralluoghi (che ricordano molto i costumi e le atmosfere di Arrival di Denis Villeneuve) ma in un preciso momento del film ci troviamo di fronte a quello che sembra essere un paradosso temporale (o una vera e propria realtà onirica), richiamando a gran voce le migliori produzioni a firma Christopher Nolan.
Tuttavia il problema insormontabile di Noi Siamo la Marea, che non ha certo il budget o l’ambizione che caratterizza il cinema hollywoodiano, è una sceneggiatura piena di spunti che però ci conduce ad un finale talmente debole da far dimenticare anche le suggestive location nordiche, che regalano al film un’aura nobile. Nonostante la durata non sia eccessiva (84 minuti circa), il ritmo della narrazione trova in molti frangenti un’impasse che viene risolta il più delle volte con soluzioni banali e dialoghi che mancano di vitalità. Tutto ciò che di interessante l’incipit aveva proposto viene pian piano abbandonato, lasciando lo spazio ad un epilogo affrettato che punta su un pathos che il pubblico non ha il tempo di elaborare.
Gli elementi fantascientifici non vengono sviluppati: quello di Hilger è un film che “parla della delusione di un’intera generazione e della sua determinazione ad andare avanti” tramite le bellissime metafore dei desolati e freddi paesi nordici, delle lunghe panoramiche sulla chilometrica riva umida e quasi aliena di Windholm, delle camerette rimaste intatte da quindici anni e della vita ferma di quegli adulti che non ce la fanno ad andare avanti. Tutto questo è chiaro e basta ad accompagnare la missione di Micha che, per circa cinquanta minuti, è fatta di scoperte, di dati geologici e di campi magnetici, fino a quando non si scontra con la storia di uno dei bambini scomparsi quel giorno (a cui crede di somigliare) e manda in frantumi tutto il lavoro che pazientemente il lungometraggio aveva costruito fino a quel momento, spiazzando il pubblico che si ritrova catapultato in un finale buonista non inaspettato ma del tutto fuori contesto (con una presenza massiccia della colonna sonora che all’inizio dell’opera si era affacciata timida).
Quella caratterizzazione filosofica che sembrava appartenere a Noi Siamo la Marea perde allora di importanza, soprattutto di fronte all’incapacità dello spettatore di rimettere in ordine tutti i tasselli di uno script troppo confuso che gli nega il coinvolgimento alle dinamiche della pellicola. Neanche la partecipazione di Max Mauff, stella del cinema tedesco conosciuto ai più per aver interpretato il personaggio di Felix in Sense8 (la serie di Netflix creata dalle sorelle Wachowski e da J. Michael Straczynski), riesce a risollevare un prodotto che punta alla suggestione ma pecca di banalità.