Ora che tutti gli episodi di Atlanta: Robbin’ Season sono andati in onda nel nostro paese su Fox Italia, possiamo dirlo a gran voce: Donald Glover ce l’ha fatta, di nuovo. Le premesse poste in essere con le prime due puntate lasciavano già intendere che le aspettative altissime non sarebbero state deluse, confermando (se mai ce ne fosse stato bisogno) non solo la qualità della prima stagione ma addirittura superandola.
Irriverente, intelligente, mai banale, a tratti surreale ma al contempo iperrealista, provocatoria quanto basta da lasciare ogni volta allo spettatore degli interessanti spunti di riflessione sulla società americana: questa è Atlanta: Robbin’ Season e, considerando che tutto avviene in soli 11 episodi dalla durata inferiore di 30 minuti, è davvero difficile non prendere in considerazione lo show di Glover come uno dei prodotti televisivi più importanti del 2018.
Per capire di cosa stiamo parlando, di seguito offriamo un focus (con spoiler) della stagione.
UNDICI EPISODI PER UNA SECONDA STAGIONE STREPITOSA
(attenzione: l’articolo contiene spoiler)
La seconda stagione di Atlanta è caratterizzata da undici episodi con una struttura autoconclusiva, alcuni dei quali dedicati ad un solo personaggio; questa scelta narrativa, se da una parte distoglie l’attenzione dalla trama principale, dall’altra ci aiuta a comprendere meglio la psicologia dei protagonisti. Glover e i suoi fidati collaboratori (tra cui il fratello Stephen e il regista Hiro Murai) riescono sin dalla première a ricreare i toni della prima stagione creando però un’atmosfera di tensione fin dai primi fotogrammi. I luoghi sono ancora cupi, la criminalità è accentuata dalla Robbin’ Season ed Earn (Donald Glover) cerca ancora di trovare il suo posto nel mondo.
Nei primi tre episodi (Alligator Man, Sportin’ Waves e Money Bag Shawty) ritroviamo il nostro protagonista concentrato sul suo ruolo di manager del cugino Paper Boi (Brian Tyree Henry). Per aiutare il parente, Earn decide di affrontare lo zio Willie che si è barricato in casa con una donna, un alligatore e una pistola dorata ma anche di far ottenere al cugino un ingaggio in una start-up tecnologica e radical chic per lanciare ulteriormente la sua carriera. Nel frattempo, l’aspirante manager è continuamente alle prese con i problemi che affliggono da due stagioni la sua vita. Il denaro che prima mancava adesso inizia a farsi vedere e finalmente il protagonista può smettere di subire ed essere trattato come una nullità. Il ragazzo però non è abituato alla ricchezza e la sua scarsa disinvoltura lo coinvolge in situazioni con implicazioni razziste che lasciano allibito sia lui che lo spettatore.
Se Jordan Peele ha deciso di aprire il suo Scappa – Get Out con il singolo Redbone di Childish Gambino, Donald Glover restituisce il favore riproponendo in Helen fortissimi richiami (al limite del plagio) del film premio Oscar alla miglior sceneggiatura originale. L’episodio utilizza l’espediente del viaggio di coppia in una comunità sconosciuta dove Earn si sente totalmente fuori luogo (è un Oktoberfest con abiti e giochi tradizionali dove sono tutti bianchi) per evidenziare come ormai il suo rapporto con Van sia arrivato al capolinea: la ama, ma anche lei (come tutti del resto) si aspetta che il padre di sua figlia sia la persona che in realtà non è. Qui per la prima volta vediamo Earn prendere una posizione perché, pur consapevole di non essere perfetto, sa anche che non è giusto cambiare solo per compiacere la propria compagna.
In questa prima tranche di episodi a colpire – oltre che la sceneggiatura – è la recitazione di Donald Glover: il suo personaggio non è più il ragazzo un pò sfigato a cui siamo stati abituati ma sembra essere sempre più un giovane adulto che trascorre le giornate tra un tentativo e l’altro di mettere insieme i pezzi e trovare una soluzione. Ma mentre nella prima stagione Earn sembrava molto più arrendevole, adesso sembra più deciso a concentrarsi per far fiorire la carriera di suo cugino anche se sembra l’unico a non aver ancora capito che forse quello non è il lavoro adatto a lui.
LA SPERIMENTAZIONE DI BARBERSHOP E TEDDY PERKINS
Con Barbershop si apre la sequenza di episodi dedicati esclusivamente ad un solo protagonista. Paper Boi vuole tagliarsi i capelli, si reca dal suo barbiere di fiducia ma quest’ultimo lo coinvolge in una serie di imprevisti che stravolgono i suoi semplicissimi piani. 22 minuti apparentemente inutili ai fini della trama principale, i quali offrono però non solo la possibilità di apprezzare lo stile e l’eccentricità di Atlanta ma mostrano in modo del tutto anticonvenzionale un lato sconosciuto del main character interpretato magistralmente da Brian Tyree Henry: ci troviamo per la prima volta davanti ad Al e non al suo alter ego musicale Paper Boi. È difficile descrivere a parole la frustrazione e l’apprensione che si provano per l’intera durata dell’episodio, paragonabile (e non è per niente un accostamento azzardato) alle sensazioni provate quando Walter White in Breaking Bad doveva ammazzare una mosca. I fan dello show di Vince Gilligan capiranno.
Anche con Teddy Perkins si raggiungono livelli memorabili, non solo per Atlanta ma per la serialità televisiva in generale. Darius si reca presso una villa lussuosa per ritirare un pianoforte da collezione con i tasti colorati tuttavia si ritrova intrappolato dal suo padrone di casa, il Perkins del titolo (interpretato da Donald Glover che per l’occasione indossa una maschera dalla pelle bianca, o meglio, “sbiancata”). Sono tante le denunce all’interno di questa puntata ma a colpire è senza ombra di dubbio l’utilizzo di stilemi narrativi tipici dell’horror e, soprattutto, la presenza di un omicidio all’interno di una comedy. Semplicemente da vedere e rivedere.
LA “NORMALITÀ” DI CHAMPAGNE PAPI E IL SURREALISMO DI WOODS
In Champagne Papi la protagonista assoluta è Van (Zazie Beetz), che cerca di allontanarsi almeno per una sera dalla sua vita di responsabilità, partecipando ad un party nella villa di Drake. Nonostante l’episodio risulti essere sottotono rispetto ai precedenti (forse perché concentrato sul personaggio che meno aderisce alle stranezze e assurdità della serie), proprio per questo motivo è il più necessario perché ristabilisce gli equilibri portando una dose di “normalità” nella sceneggiatura; la puntata riesce comunque a trasmettere riflessioni importanti, tra cui l’ossessione verso le celebrities sfruttate solo per avere una foto insieme da postare sui social (in modo da ricevere il maggior numero di like). Poco importa se la foto è scattata con un cartonato di Drake, l’importante è che sia verosimile e che i follower provino invidia per una presunta vita straordinaria (incredibile come Glover riesca a fare denuncia su questo argomento).
Le tematiche dei due episodi precedenti si uniscono in Woods che vede protagonista ancora Alfred/Paper Boi, alle prese con l’incertezza provocata dalla popolarità. Se da una parte non vuole cedere alle logiche di mostrarsi su Instagram in modo diverso rispetto alla sua persona, dall’altra è consapevole che la carriera lo ha allontanato dal suo vero Io, tanto da “perdersi” non solo metaforicamente ma anche realmente (il rapper si perde in un bosco dove rischia addirittura di essere ucciso).
UN FINALE DI STAGIONE INDIMENTICABILE
Proprio quando si pensa ad un definitivo ritorno alla storyline principale in vista del finale di stagione (avvenuto con l’episodio numero 9, North Of The Border, dove Earn procura l’ennesimo ingaggio sbagliato a Paper Boi che sembra ormai deciso a licenziare il suo manager), ecco che sullo schermo irrompe un nuovo episodio a sé stante. FUBU è senza ombra di dubbio il capitolo più toccante dell’intero show e a sorprendere in prima battuta è che il racconto si concentri su un episodio dell’infanzia di Earn. Il personaggio maggiormente avvolto nel mistero di Atlanta viene messo finalmente a nudo. FUBU racconta il fenomeno del bullismo come mai nessuno l’aveva fatto in tv, perché per una volta a venir preso di mira non è l’aspetto fisico, il colore della pelle o l’orientamento sessuale ma un capo di abbigliamento contraffatto (la Fubu del titolo è una marca di abbigliamento hip hop): forse un banale espediente narrativo ma con un impatto emotivo talmente forte che viviamo anche noi l’ansia provata dal protagonista di essere scoperti e marchiati a vita.
Con Crabs In A Barrel si arriva al season finale percependo nell’aria una nota di nostalgia che tanto assomiglia ad un commovente addio. Il trio protagonista si sta preparando per un viaggio a Londra decisivo per la carriera di Paper Boi e Alfred sembra aver dato un’ennesima possibilità ad Earn grazie al grandissimo affetto che li lega; ma l’ultimo episodio si ricollega in maniera del tutto imprevedibile al primo, con la pistola dorata che il personaggio di Glover aveva deciso di tenere in custodia nascosta nello zaino. Earn come sempre troverà una soluzione ma questa avrà delle conseguenze probabilmente negative sul successo di Paper Boi.
Per scoprire dove ci condurrà l’ennesimo fallimento del ragazzo dovremo aspettare la terza stagione (confermata da FX) ma nel frattempo non possiamo fare a meno di tessere le lodi a Donald Glover & co. per quello che sono stati in grado di fare. La sperimentazione e il coraggio di osare hanno permesso ad Atlanta di trovare uno stile ed un punto di vista mai utilizzati prima d’ora: proprio per questo motivo si tratta di un prodotto geniale senza rivali.
Ancora non sappiamo quante nomination conquisterà alla prossima edizione degli Emmy Awards: tuttavia gli spettatori che si avvicinano ad Atlanta difficilmente rimangono indifferenti ad un’opera così innovativa. Perché, se a distanza di quasi due anni ricordiamo ancora il titolo del settimo episodio della prima stagione (B.A.N), anche Barbershop, Teddy Perkins e FUBU rappresentano delle pietre miliari indimenticabili non solo dello show ma del panorama televisivo contemporaneo.