Presentato in anteprima mondiale al Biografilm Festival – International Celebration of Lives, dove ha vinto ben tre premi, Iuventa di Michele Cinque (nelle nostre sale dal 25 settembre con Wanted Cinema e Zalab) è un perfetto esempio di come raccontare l’immigrazione e le ONG: senza filtri e senza retorica.
In nessun’opera cinematografica, di finzione o meno, era stato raccontato così in profondità il mondo delle ONG. Per realizzarla, il regista romano è salito a bordo della nave da salvataggio Iuventa, un vecchio peschereccio degli anni ’60 rimesso in sesto dall’associazione Jugend Rettet. Si tratta di una ONG fondata da un gruppo di ragazzi tedeschi poco più che maggiorenni, i quali hanno scelto di passare l’estate in mare piuttosto che in vacanza, di impegnarsi nel Mediterraneo piuttosto che continuare i studi. Tutt’altro che banale e girato con grande precisione, Iuventa è un documentario necessario per rendere giustizia ad una realtà – quella della Jugend Rettet – di cui in Italia non si è praticamente sentito parlare.
Per il regista, girare Iuventa è stata una vera e propria missione: due anni di lavoro, otto mesi di montaggio, un set complicato e inadatto a girare e soprattutto la mancanza di una vera e propria sceneggiatura sono stati solo alcuni degli ostacoli che Michele Cinque ha dovuto superare. C’era la barriera linguistica (un equipaggio che parlava perlopiù in tedesco) e un ‘fattore imprevisto’ che farebbe impallidire anche Werner Herzog. A fronte di tutte queste difficoltà, gli 86 minuti di durata di questo gioiello di documentario (ricavati da più di 500 ore di girato) assumono un valore ancora più grande. Perché Iuventa non è soltanto documentario di osservazione (come lo definisce il regista), bensì un romanzo di formazione.
I veri protagonisti del film sono infatti i giovani volontari, inesperti diciottenni che spinti da un senso di giustizia sociale si sono buttati in una missione più grande di loro. Salito sulla Iuventa con un capitano e un medico, e senza nemmeno avere il supporto di un legale, questo gruppo di adolescenti ha dovuto fronteggiare la morte, la responsabilità e la frenesia che impera durante le missioni di salvataggio. Nella pellicola li vediamo che si spiegano a vicenda ciò che devono fare e cercano di aiutarsi: piuttosto che dipingerli come semplici eroi, Cinque li racconta come esseri umani, impauriti e sotto shock. Nessuno di loro, dopo essere stato in mare, riesce a riprendere la vita normale; provano tutti una sorta di sindrome da stress post-traumatico, come i reduci di guerra. Hanno bisogno di tornare sulla barca di affrontare di nuovo il mare.
Anche perché quando si trovano a terra, i ragazzi della Jugend Rettet sono impegnati con la burocrazia. Nel documentario viene dato un ampio spazio alle riunioni di questi giovani, nelle quali fanno il punto sul denaro che è stato loro donato e su quanto e in quale modo ne potranno investire in futuro. Questa componente, quella dei soldi, spesso viene lasciata in secondo piano quando si parla di ONG. In Iuventa invece viene ben spiegato quanto serve e quanto costa mantenere una organizzazione non governativa, la quale, seppur di volontari, necessita di fondi per le sue strutture.
Una menzione particolare, infine, meritano tutte le sequenze di salvataggio, girate grazie a quattro telecamere GoPro che il regista aveva strategicamente posizionato sui gommoni (dato che a lui non era permesso partecipare alle missioni di salvataggio). Michele Cinque le ha tenute “intatte”, lasciando che non fosse un montaggio a raccontare la scena ma dei lunghi piani sequenza nei quali si ha la sensazione di trovarsi su un gommone a contatto con i volontari.
Per tutte queste ragioni Iuventa è un grande documentario. Il film di Michele Cinque, considerando le condizioni di partenza, rischiava di essere un lavoro semplicistico e barcollante, mentre si rivela il contrario: un’opera girata e montata bene, nella quale ogni minuto risente in positivo di ore di lavoro. Nonostante il film non possegga ancora una distribuzione ufficiale, verrà proiettato in giro per l’Italia nell’ambito di diversi festival. Una finestra quantomai attuale su un mondo estremamente complesso, che offre la possibilità di superare la bidimensionalità dei titoli di giornale e di farsi un’idea più precisa sull’attività di una delle navi di salvataggio più discusse degli ultimi anni, nonché sulle motivazioni del suo equipaggio.