A sette anni di distanza dall’uscita di Young Adult, la premiata ditta Jason Reitman/Diablo Cody torna di nuovo alla ribalta. Il duo che nel 2007 sconvolse la scena indie americana con Juno, grande successo di critica e di pubblico (il film vinse anche l’Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale), ha presentato all’ultimo Sundance Film Festival il lungometraggio Tully: la pellicola, che uscirà nelle nostre sale il 28 giugno su distribuzione Universal Pictures, pone al centro dell’attenzione il tema della maternità.
LE VICISSITUDINI DI UNA MADRE SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI
Marlo (Charlize Theron) è una donna che, passati i quarant’anni, è madre di tre figli, di cui uno appena nato; la nostra protagonista, nonostante abbia sposato un brav’uomo come Drew (Ron Livingston), è allo stremo delle forze, sull’orlo di un esaurimento nervoso. Su consiglio del fratello Craig (Mark Duplass), Marlo decide di assumere una bambinaia notturna affidandosi ai servizi della giovane Tully (Mackenzie Davis): il carattere bizzarro di Tully all’inizio sconvolge la routine familiare ma, nel corso del film, le due donne stringono un rapporto di grande amicizia e complicità.
UNA COMMEDIA AMARA CHE RIFLETTE SULLA MATERNITÀ E SUL TEMPO CHE AVANZA
Figlio d’arte (il padre Ivan è il leggendario regista di Ghostbusters), Jason Reitman è un cineasta che fin dal suo primo lungometraggio, Thank You For Smoking, ha dimostrato abilità innate nel trattare argomenti scomodi (come il ruolo delle lobby negli Stati Uniti o la realtà delle ragazze-madri) con un’ironia e una sensibilità fuori dal comune. Tully rappresenta l’ultimo tassello della filmografia di un autore che, attraverso storie di personaggi in difficoltà, descrive un’America post-ideologica alla costante ricerca di nuovi valori e punti di riferimento. Per merito anche dello splendido script di Diablo Cody (che con Reitman ha creato uno dei sodalizi artistici più riconoscibili del panorama indipendente recente), la pellicola mette in scena con grande intelligenza l’odissea di una donna come tante che riesce a stento, a causa dei ritmi forsennati della nostra società, ad adempiere ai suoi doveri di madre. Attenzione però, l’obiettivo dei due filmmaker non è soltanto quello di analizzare i vari aspetti della maternità: Tully in realtà è un’ode al tempo che avanza. Il confronto tra la giovane Tully e la ben più matura Marlo mette la seconda nella condizione di ripensare con nostalgia agli anni della giovinezza; tutttavia il messaggio che il film vuole lanciare è che ogni fase dell’esistenza di un essere umano, dall’infanzia fino alla vecchiaia, ha la sua importanza, anche perché solo con la maturità e con l’esperienza si imparano ad apprezzare le varie sfumature della vita.
CHARLIZE THERON IN STATO DI GRAZIA
Jason Reitman confeziona un prodotto audiovisivo in perfetto stile Sundance, in grado di essere accessibile ad un pubblico mainstream pur non rinunciando alla ricercatezza formale ed estetica che caratterizza una pellicola d’autore. Nonostante Diablo Cody tenga il mondo maschile ai margini della storia (il personaggio di Drew è semplicemente di contorno), la sua sceneggiatura regala battute memorabili (marchio di fabbrica dell’autrice classe 1978) e uno sviluppo narrativo con inaspettati plot twist (in particolare nel finale); Tully è una dramedy estremamente equilibrata che trascina lo spettatore (fondamentale è il lavoro in fase di montaggio di Stefan Grube) in un microcosmo familiare realistico e non edulcorato.
Tutto il cast è perfettamente affiatato (segnaliamo una convincente Mackenzie Davis, già vista in Halt And Catch Fire e Blade Runner 2049) però una menzione speciale la merita Charlize Theron, protagonista del lungometraggio: la bellissima attrice sudafricana non è nuova a trasformazioni radicali (con Monster nel 2004 vinse addirittura l’Oscar) ma in Tully offre una delle performance più sensazionali della sua carriera. L’interpretazione della Theron non è solo fisica (ricordiamo che, per calarsi nei panni di Marlo, è ingrassata 23 chili) perché, grazie soprattutto alla sua capacità espressiva, trasmette tutta la frustrazione e la stanchezza di un main character dalla straordinaria umanità che, per amore dei figli, riesce ad affrontare qualsiasi difficoltà.
L’ultima fatica di Reitman, perfettamente coerente all’interno della poetica del regista, non ha la stessa stessa forza d’urto di Juno o la brillantezza di Young Adult eppure è l’ennesima conferma del talento di un artista maturo fin troppo sottovalutato.