In una delle scene più famose di Trappola Di Cristallo (più noto col titolo di Die Hard), John McClane (Bruce Willis) si trascina a pancia in giù dentro una presa d’aria del maestoso Nakatomi Plaza, illumina il cunicolo con un accendino e pronuncia una delle battute più famose e sarcastiche del film: “vieni in California, vedrai che bello, ci divertiremo da matti.” Siamo esattamente a metà pellicola e quello che ci è sembrato un classico action condito da suspense, spari, sangue e sudore inizia ad apparirci come qualcos’altro, come se stessimo assistendo ad un “parto” rigeneratore (forse non è un caso che Bruce Willis, nella scena, abbia quasi le sembianze di un feto in procinto di uscire). Da qui capiamo che questo lungometraggio non è solo un giocattolo confezionato con grande maestria da John McTiernan ma è anche un caposaldo che ha riscritto le regole del film d’azione: l’opera del regista americano, imbastita sfruttando anche una sottile autoironia di fondo, è stata in grado non solo di capovolgere stereotipi consolidati ma anche di cavalcare un sottotesto ricchissimo di rimandi sociali e culturali. Un’ambivalenza profonda e inedita che fa di Die Hard – Trappola Di Cristallo uno spartiacque decisivo nell’evoluzione dell’action movie ma anche, più in generale, della cultura pop di quegli anni. Inoltre, come suggerisce il divertente trailer rilasciato in occasione delle festività del 2018 da Fox, “the greatest Christmas story”, quindi anche un film natalizio sui generis, che – complice l’ambientazione della pellicola – viene riproposto tradizionalmente quasi ogni dicembre.
L’ANTI-MACHISMO SOTTO TRACCIA
Dopotutto basterebbe l’incipit del film a farci capire lo spessore del cult del 1988. Al centro della storia c’è un poliziotto, John McClane, alle prese con la moglie Holly (Bonnie Bedelia) che ha deciso di intraprendere la strada della donna in carriera, tanto da lasciare il marito a New York e dedicarsi al suo lavoro di stanza a Los Angeles presso il grattacielo di una grande multinazionale nipponica. Già questa crisi matrimoniale ci mostra due ruoli totalmente capovolti: una donna integrata e un uomo marginalizzato che deve combattere perfino per dare valore al proprio cognome (Holly si fa infatti chiamare Gennaro, il suo cognome da nubile). Ma ciò che sorprende di più non è tanto il punto di partenza quanto l’evoluzione di un rapporto di genere che va di pari passo con l’irruzione nel grattacielo aziendale di un gruppo di pseudo-terroristi capeggiati da Hans Gruber (Alan Rickman): McClane da una parte deve combattere gli intrusi e salvare gli ostaggi (compresa sua moglie), dall’altra deve ricucire il proprio ruolo di marito senza vanificare l’indipendenza di Holly (ad un certo punto l’uomo chiede perdono alla moglie). Insomma, non è un caso che il film con il tempo sia stato riletto addirittura in chiave femminista, complice una rimodellazione della figura dell’eroe tradizionale con una critica, nemmeno troppo velata, all’universo machista dominante in quasi tutti gli action anni ‘80. Al di là dell’insolito rapporto uomo-donna/eroe-principessa, nel film di McTiernan i poliziotti, l’FBI e i terroristi stessi rappresentano una gerarchia di maschi alfa incapace di raggiungere i rispettivi obiettivi e portatrice di violenza inutile e fallimentare. Consideriamo la scena degli agenti federali Johnson & Johnson che volano con il loro elicottero sopra il grattacielo della Nakatomi, sghignazzando come adolescenti e calcolando, in base al loro piano, “il 25% di vittime tra gli ostaggi”: proprio loro avranno la sorte peggiore, come tutti quelli che in misura maggiore o minore giocano a fare i duri e puri, siano essi i “buoni” o i “cattivi”.
UN EROE VULNERABILE E FEMMINILIZZATO
Infatti, a veder bene, John McClane sopravvive proprio perché è l’uomo più vulnerabile, più cauto, più intelligente e soprattutto più ironico (Bruce Willis non fu scelto a caso, all’epoca era noto come attore di commedia protagonista di un seguito telefilm, Moonlighting, e di una pellicola romantica con Kim Basinger, Appuntamento Al Buio). Far fuori i terroristi e ridicolizzare le forze dell’ordine per Willis non è solo mettere fuori gioco chi si oppone a lui: si tratta piuttosto di eliminare convinzioni intime e personali superando una virilità mal concepita, con il risultato di tirarsi fuori dal binomio uomo-forte/donna-debole dell’action classico. Senza esagerare, McClane è un eroe d’azione quasi “femminilizzato”: non si sente invincibile, quando può si autocommisera e si fa spesso forza con la frase “pensa prima di agire”. Quando poi Hans Gruber gli domanda se fosse “uno dei tanti americani che hanno visto troppi film d’avventure” credendo “di essere uno sceriffo, John Wayne o Rambo”, McClane risponde sorprendentemente di essere “un grande ammiratore di Roy Rogers”. Ci troviamo di fronte ad una sovversione dei canoni dell’action, una ridefinizione totale del protagonista eroico attraverso la ricalibratura di archetipi classici presenti in film come Tango e Cash, Rambo, Commando o, appunto, le vecchie pellicole di John Wayne. Tre anni dopo Die Hard – Trappola Di Cristallo, Kathryn Bigelow rilesse le relazioni maschili in Point Break; tuttavia gli apripista di questo nuovo approccio furono due uomini, John McTiernan e il produttore Joel Silver (che più tardi ammetterà quanto fu decisivo il pubblico femminile nel trasformare Die Hard – Trappola Di Cristallo in un vero e proprio boom al botteghino, superando gli 80 milioni di dollari in America)
SOVVERSIONI E PAURE
Già solo per aver messo in discussione la figura dell’action hero, Die Hard – Trappola Di Cristallo meriterebbe di essere considerato un lungometraggio rivoluzionario; eppure, andando più in profondità, ci accorgiamo di altri riferimenti narrativi che restituiscono immaginari impensabili per l’epoca. In particolare tutto il film è caratterizzato da una tensione antiburocratica, antitecnologica e antigovernativa senza precedenti: la polizia di Los Angeles e l’FBI fanno parte della categoria degli “utili idioti” ma anche il giornalismo d’inchiesta (o presunto tale) finisce per emergere come cavallo di troia a favore dei terroristi stessi, rivelando tutta la smania di protagonismo che affligge l’antipaticissimo reporter “Dick” Thornberg (William Atherton). Di contro, Die Hard – Trappola Di Cristallo conduce invece un’operazione totalmente atipica nel raccontare i personaggi di colore, resistendo allo stereotipo cinematografico per cui gli afroamericani sono in genere più violenti dei bianchi. Qui i tre black characters sono in realtà i più innocui: lo è il comico (ma decisivo) autista della limousine Argyle (De’voreaux White), il ladro un po’ nerd Theo (Clarence Gilyard) e soprattutto il poliziotto Al Powell (Reginald VelJohnson), che nelle scene finali avrà un ruolo determinante nel salvare la vita a John McClane. Tutto ciò non è affatto scontato perché siamo ancora negli USA del 1988, lo stesso anno in cui George H.W. Bush vinse la campagna presidenziale accusando il suo avversario dell’epoca, il democratico Michael Dukakis, di essere stato complice di un pluriomicida di colore di nome Willie Horton per colpa di un permesso premio che l’allora governatore del Massachusetts concesse al detenuto. Se proprio dobbiamo parlare di tensione etnica legata a Die Hard – Trappola Di Cristallo, dobbiamo guardare verso oriente: il film infatti è incentrato sulla Nakatomi Corporation, guidata da un nippo-americano di nome Joseph Takagi (James Shigeta). L’ennesima paura, allora largamente alimentata dai media statunitensi, che le imprese high-tech giapponesi fossero capaci di dominare l’economia americana.
A distanza di tre decadi dalla sua uscita Die Hard – Trappola Di Cristallo ci ha lasciato una duplice eredità. Da una parte ha reso iconico un certo modo di fare action, tanto da sfornare altri quattro capitoli della saga e una serie di imitazioni che hanno cercato di declinare in maniera diversa la splendida macchina pirotecnica di McTiernan: un Die Hard su un autobus (Speed), su una nave (Under Siege), su un aereo (Passenger 57), sull’aereo del Presidente degli States (Air Force One) e perfino ad una partita di hockey (Sudden Death); dall’altra però è stata una pellicola capace di sviluppare sotto un polverone di mitragliate, bombe ed esplosioni un’evoluzione cruciale di quei modelli stereotipati da cui riesce meravigliosamente a distaccarsi. Una formula spiazzante e potentissima che ha lasciato il segno: perché, dopo Die Hard – Trappola Di Cristallo, il cinema d’azione e i suoi eroi non sono stati più gli stessi.