Koch Media distribuisce in home video nel nostro paese The Limehouse Golem – Mistero sul Tamigi, un mistery thriller ambientato nella Londra vittoriana diretto da Juan Carlos Medina (regista di Insensibles) su script di Jane Goldman, famosa per aver adattato per il grande schermo le graphic novel di Mark Millar (ha firmato le sceneggiature dei due film di Kingsman e di Kick-Ass); il lungometraggio può vantare nel cast interpreti di assoluto valore come Bill Nighy (Harry Potter e i Doni della Morte), Olivia Cooke (Ready Player One e Bates Motel), Douglas Booth (Posh) ed Eddie Marsan (uno dei protagonisti della serie Ray Donovan).
L’ispettore John Kildare (Bill Nighy) è un poliziotto caduto in disgrazia, malvisto nell’ambiente e messo in disparte da Scotland Yard a causa del suo presunto orientamento sessuale; per tenerlo occupato, nel tentativo di trovare l’occasione giusta per cacciarlo definitivamente dalla polizia, gli vengono assegnati due casi apparentemente slegati fra di loro. Da una parte si trova ad assistere al processo di Elizabeth Cree (Olivia Cooke), star del teatro di varietà assieme al leggendario Dan Leno (Douglas Booth), accusata di aver avvelenato il marito (la donna rischia la condanna a morte per impiccagione); dall’altra invece l’anziano ispettore si trova a dover indagare sui raccapriccianti delitti del Mostro di Limehouse, un violento e sadico serial killer che uccide in maniera apparentemente casuale.
Basato sul romanzo di Peter Ackroyd (edito in Italia con il titolo La Leggenda del Mostro di Limehouse), guardando il film di Medina è impossibile non riportare alla mente i grandi misteri irrisolti londinesi dell’Ottocento (come gli omicidi di Jack lo Squartatore) e lo fa attraverso storie meno conosciute come quella di Julia Martha Thomas, da cui la sceneggiatura di Jane Goldman ha tratto spunto per delineare la dinamica degli eventi che conducono Elizabeth Cree in carcere.
The Limehouse Golem – Mistero sul Tamigi è un buon mystery dall’impostazione tipicamente british in cui la narrazione procede in maniera compassata seguendo un intricato schema a scatole cinesi, svelando solo le informazioni necessarie per la piena comprensione degli eventi. Una scelta che, se da un lato complica la visione da parte del pubblico (concentrato nel seguire alcuni passaggi), dall’altro crea un clima di sospetto che ben si sposa con i toni della pellicola, riuscendo nel difficile intento di tenere lo spettatore costantemente sulle spine facendo vacillare le sue certezze scena dopo scena, in un continuo susseguirsi di ribaltamenti di prospettiva (caratteristica accentuata anche da un montaggio diacronico che non dà punti di riferimento stabili).