Presentato in concorso alla scorsa edizione del Festival di Cannes, Una Luna Chiamata Europa (titolo italiano, ben più bello di quello internazionale Jupiter’s Moon) racconta di un immigrato che siriano che, dopo essere stato ucciso dalle autorità mentre cercava di entrare illegalmente in Ungheria, diventa letteralmente un angelo; Aryan (Zsombor Jéger) risorge e scopre di poter volare. Nel campo profughi viene poi preso in custodia da Gabor Stern, un dottore che comincia a sfruttarlo per i suoi poteri. I due dovranno scappare dal direttore del campo, Laszlo, mentre i poteri di Aryan sconvolgeranno la vita di Gabor.
Il secondo film di Kornél Mundruczó comincia con uno splendido e articolato piano-sequenza, che in meno di quindici minuti racconta tutta la vita del suo protagonista: arriva al confine, viene messo sulla barca e separato dal padre, per poi essere ucciso senza nessun motivo. Più che un angelo, il regista ungherese lo vuole raccontare come un martire. Il suo atto eroico, vale a dire la fuga dalla Siria che lo ha portato alla morte, gli ha garantito di rinascere più forte di prima. Non appena si alza da terra è immediatamente in grado di controllare il suo potere e di librarsi nell’aria.
Una Luna Chiamata Europa procede dunque per allegorie, semplici e dirette. Mundruczó racconta la strumentalizzazione dei migranti (che in politica esiste, nel bene e nel male) tramite il rapporto fra Aryan e Gabor; mostra una nazione, l’Ungheria, che dopo aver perso decine di migliaia di ebrei durante lo Shoah ghettizza i profughi in “campi”. Non a caso, per tutto il film Aryan viene continuamente chiamato “angelo”, non commette nessuna cattiveria e rimane candido, innocente e illuso verso il mondo.
Il personaggio di Zsombor Jéger (che peraltro lo interpreta benissimo), somiglia molto al Lazzaro di Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher. Sono delle tipologie di protagonisti un po’ desuete, che nelle storie contemporanee difficilmente si incontrano. Sono dei ‘santi’, incapaci di peccare e di commettere azioni impure. Per la loro bontà, sia Lazzaro che Aryan, vengono poi sfruttati da quello che invece è il male assoluto. Il dr. Stern è un uomo corrotto, il quale lucra alle spalle di Aryan così come la “contessina” sfruttava Lazzaro.
In Lazzaro Felice però Alice Rohrwacher era attenta ad evitare di cadere in una retorica spicciola, cercava di non risolvere con trovate semplicistiche il conflitto bene-male. Purtroppo Una luna Chiamata Europa fallisce la sfida e propone scene dove, con una musica triste in sottofondo, il personaggio di Goron si pente del suo operato e quasi si commuove mentre allaccia le scarpe ad Aryan. Con premesse del genere, ovvero di una vetusta idea di conflitto fra Male e Bene “assoluti”, Mundruczó si perde in luoghi comuni e stereotipi, senza trovare un modo per far proseguire davvero la trama in modo convincente.
Jupiter’s Moon vorrebbe infatti essere un film d’azione, un thriller fatto di inseguimenti e di fughe, proposti attraverso degli ottimi piani-sequenza che ricordano quelli de I Figli Degli Uomini di Alfonso Cuaron. Il problema è che il regista, dopo aver dato i “superpoteri” al protagonista, non sa bene cosa farci. D’altronde, una delle regole principali delle storie che riguardano i supereroi, riguarda proprio i poteri: essi devono essere usati. In Una Luna Chiamata Europa la levitazione è un potere quasi casuale, che al protagonista non porta nulla in più. Vi basti pensare che tutta la storia racconta di un uomo in grado di volare ma che cerca di scappare “via terra”.
Il film di Mundruczó ha i pregi e i difetti del blockbuster hollywoodiano: ottimo il comparto visivo e ben articolati i movimenti di macchina, mentre la sceneggiatura presenta diversi buchi. Se non altro, dopo l’oscar a Il Figlio di Saul di Laszlo Nemes, la cinematografia ungherese riesce di nuovo ad uscire dai propri confini e arrivare nei grandi festival e nelle sale di tutto il mondo con Una Luna Chiamata Europa, al cinema dal 12 Luglio com Movies Inspired.