Se c’è qualcosa che Daniel Katz e David Fenkel sanno fare, è scommettere sul cavallo vincente. Con la loro casa di produzione e distribuzione indipendente A24, infatti, hanno recentemente indovinato una moltitudine di pellicole (tra queste Spring Breakers, Enemy, Ex Machina, Room, Un Sogno Chiamato Florida, Lady Bird, The Disaster Artist, Il Sacrificio del Cervo Sacro e chi più ne ha più ne metta). Un altro dei pregi di questi signori è quello di capire come promuovere un film, e così, quando durante le conferenze stampa americane hanno iniziato a vendere Hereditary come «il nuovo Esorcista», hanno fatto leva sulla pigrizia della stampa di settore che ha immediatamente iniziato a ripetere a pappagallo quella stessa formula.
NO, HEREDITARY NON È “L’ESORCISTA DI QUESTA GENERAZIONE”
Ecco perché probabilmente, anche in Italia, sentirete tanti abusare dello stesso paragone. Va però detto che con il film di Friedkin del ’73, Hereditary ha davvero poco in comune. Questo perché – tanto per cominciare – da quell’iconica pellicola sulla possessione demoniaca sono passati 45 anni, e quindi il regista e sceneggiatore esordiente Ari Aster ha avuto a disposizione quasi mezzo secolo di cinema horror a cui attingere, a differenza del pionieristico Friedkin. Soprattutto, da allora la società ha subìto una vera e propria rivoluzione antropologica, e adesso Satana non fa praticamente più paura a nessuno, ed è diventato al massimo uno dei cliché di quel che è rimasto della musica metal.
Se Hereditary quindi non è neanche lontanamente «l’Esorcista di questa generazione» né può sperare di avere sulla cultura pop l’impatto che ebbe nei primi ’70 la pellicola con Max Von Sydow, non ci rimane che delineare – rifuggendo le semplificazioni – i contorni dell’opera che sta portando nelle nostre sale Key Film in collaborazione con 3 Marys.
UN FILM DRAMMATICO CHE SI TRASFORMA IN HORROR
Non entreremo nei dettagli della trama per evitare spoiler (potremo quindi scalfire solo la superficie della storia), ma evidentemente sì, la tematica esoterica svolge un ruolo importante nel titolo che ha debuttato lo scorso gennaio nella sezione Midnight del Sundance Film Festival.
Il film si apre con un funerale: Annie (Toni Colette) piange infatti la perdita della madre, da cui è profondamente scossa nonostante fosse in pessimi rapporti con la donna. Capiamo da subito che la protagonista, pur venendo da una storia familiare e un passato a dir poco travagliati, è riuscita a trovare la tanto agognata stabilità grazie al marito Steve (Gabriel Byrne) e ai figli Peter e Charlie. Una spirale di dolore è però alle porte, e l’unica che sembrerà in grado di stare vicina ad Annie sarà Joan (la Ann Dowd di The Leftovers e The Handmaid’s Tale), una donna conosciuta in un gruppo di auto aiuto per l’elaborazione del lutto.
TROPPE CITAZIONI, SPESSO GRATUITE, E UNA STORIA CHE A TRATTI GIRA A VUOTO
La sceneggiatura di Aster è evidentemente debitrice proprio del cinema esoterico a cavallo tra i ’60 e ’70 (da Rosemary’s Baby a Don’t Look Now), ma nel suo riproporre in modo ostentato e fastidiosamente ruffiano tutti (ma proprio tutti) i luoghi comuni del genre, finisce per tradire l’eccessiva furbizia di uno script che ruba a piene mani da quei suddetti 45 anni di cinema horror, dando spesso l’impressione di suggestioni buttate lì più per far numero che per essere funzionali alla storia. Hereditary però non è la classica pellicola del terrore a uso e consumo degli appassionati di genere, e anzi – e questo è il suo pregio principale – si sviluppa principalmente come un dramma psicologico sull’incapacità di affrontare quei momenti della vita in cui le disgrazie sembrano accumularsi senza lasciare il minimo spiraglio al più timido ottimismo. Chiave di lettura di grande originalità e intelligenza, che però inizia a franare quando l’inesperienza di Ari Aster si fa evidente e nei lunghissimi e non necessari 127 minuti di durata la storia si trova più volte a girare a vuoto. Nonostante il regista di sforzi di condensare gli sviluppi più propriamente horror nell’ultima mezz’ora del film, lo spettatore più smaliziato capirà infatti presto la direzione verso la quale si muove la narrazione, finendo quindi per perdersi in un’attesa che anziché costruire il pathos lo disperde.
UN CAST STRAORDINARIO È LA VERA FORZA DI HEREDITARY
Detto questo, Hereditary rimane un lavoro acerbo ma che lascia intravedere delle ottime potenzialità nel debuttante Aster, che ora sta lavorando alla più ricca produzione mai affrontata da A24 ma che – purtroppo – ha già messo in cantiere un sequel di questo suo debutto anziché concentrarsi su idee nuove. A dare vero valore aggiunto al film ci sono le interpretazioni di quasi tutto il cast, e in particolar modo quelle di una straordinaria Colette (per lei si parla già di nomination agli Oscar), della sempre eccelsa Down e dell’inquietantissima giovane Milly Shapiro (nella vita insospettabile ex stellina di Broadway). Byrne, che generalmente si distingue per talento, qui invece sembra sempre ritrovarsi sulla scena un po’ per caso.
Se quello che cercate è un film dell’orrore che si ibrida con un dramma del lutto (anche piuttosto pesante), con un cast solidissimo, qualche spunto azzeccatissimo (tutta la simbologia legata ai diorami) e un finale forse non straordinario da un punto di vista di scrittura, ma tra quelli più iconograficamente memorabili degli ultimi decenni, Hereditary fa assolutamente per voi. Attenti però a non presentarvi in sala con un hype fuori controllo, perché parte delle vostre aspettative potrebbe essere delusa.
Hereditary sarà in sala su distribuzione Lucky Red a partire dal 25 luglio.