Mamoru Oshii, la cui carriera è decollata dopo aver curato la regia di alcuni episodi di Belle e Sebastien e di Lamù la Ragazza dallo Spazio (due serie animate che negli anni ’80 hanno spopolato anche in Occidente), ha dato un incredibile contributo all’animazione giapponese, e viene il più delle volte ricordato come regista di Ghost In the Shell – uno dei film d’animazione più importanti nel panorama della fantascienza contemporanea.
Questa etichetta però è sempre stata molto stretta ad Oshii, che da grande appassionato di cinema d’autore ha sempre manifestato l’intenzione di reinventarsi girando anche delle pellicole live action in cui riversare tutte le proprie ispirazioni e la sua voglia di sperimentare. È per questo motivo che l’apice creativo del cineasta coincide con la creazione della Kerberos Saga, un’opera di proporzioni enormi che venne sviluppata attraverso diversi media: due lungometraggi live action (The Red Spectacles e Stray Dog) e uno d’animazione (Jin-Roh), a cui vanno aggiunti un vasto numero di fumetti, romanzi e addirittura due radiodrammi creati tra il 1987 e il 2010. La saga tornerà a vivere grazie all’atteso remake live action di Jin-Roh diretto da Kim Jee-Woon (col titolo Inrang: The Wolf Brigade), film in uscita al cinema a fine luglio in Corea del Sud che verrà distribuito nel resto del mondo da Netflix.
Il primo lungometraggio della Kerberos Saga è The Red Spectacles, lungometraggio del 1987 introdotto da una radiodramma uscito pochi mesi prima dal debutto cinematografico; la pellicola rappresenta l’esordio dietro la macchina da presa per Oshii.
LA GERMANIA HA SOGGIOGATO IL GIAPPONE DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Il film – come del resto l’intera saga – è ambientato in un universo alternativo dove, durante la Seconda Guerra Mondiale, la Germania ha soggiogato ed invaso il Giappone, influenzando pesantemente la sua cultura e i suoi costumi. Successivamente, verso la fine del ventesimo secolo, il paese piomba in un’epoca di rivolte e duri scontri: per questo motivo la polizia metropolitana ha costituito l’unità Kerberos (un plotone di uomini armati fino ai denti e protetti da una corazza antiproiettile) con lo scopo di sedare le rivolte più violente e ristabilire l’ordine. A seguito di numerosi incidenti legati all’abuso di potere da parte dell’unità Kerberos ne viene decretato lo scioglimento, ma un gruppo si rifiuta di abbandonare l’uniforme e si ribella al governo. Il leader della rivolta è Koichi Todome, ex comandante dei Kerberos che si vede costretto a rifugiarsi a Taiwan per diverso tempo dopo il fallimento della ribellione. Tre anni dopo, Koichi fa ritorno in Giappone con la speranza di poter incontrare nuovamente i suoi compagni d’armi; tuttavia le autorità gli stanno col fiato sul collo da tempo.
TANTE CITAZIONI CINEFILE PER UN’OPERA FUORI DAGLI SCHEMI
Quello che Oshii e Kazunori Ito, sceneggiatore di fiducia del regista, costruiscono in The Red Spectacles è un continuo gioco di aspettative disilluse: il film comincia con una scena d’azione piuttosto violenta che ci proietta in un Giappone fantascientifico dilaniato dalla guerra civile, per poi virare bruscamente verso uno stile estremamente sperimentale, cupo e surreale, che si dimentica in fretta della trama e delle premesse dell’inizio. La tra, in The Red Spectacles, è in realtà uno degli elementi più secondari, nonostante l’incipit sia la pietra angolare su cui poggia l’intera Kerberos Saga. L’intreccio serve a contestualizzare il film nel suo universo narrativo ma Oshii se ne distacca quasi istantaneamente per poter dare sfogo alla propria vena creativa e cinefila. The Red Spectacles è un concentrato di sperimentazioni, citazioni e autocitazioni che si susseguono in una Tokyo oscura e surreale, permeata da atmosfere che ricordano molto da vicino il Lynch degli esordi e il cinema di Seijun Suzuki.
All’interno dell’esordio cinematografico di Oshii ci sono rimandi a tutta la storia del cinema, a partire dal cinema muto di Chaplin fino ad arrivare a Bergman passando per la Nouvelle Vague francese e la Nuberu Bagu giapponese, in un continuo gioco di rimandi che frammentano la narrazione fino quasi ad annullarla. Inoltre si tratta di un film dal ritmo lentissimo e frammentario, in cui il nesso logico tra le scene è spesso latente e in cui i protagonisti si concedono lunghissimi dialoghi oppure si abbandonano a monologhi da cui emerge tutto l’eclettismo di Oshii ed Ito. I due infatti si prendono la libertà di mettere in sequenza scene che fanno il verso al cinema di arti marziali degli anni ’70 assieme ad altre in cui i personaggi citano Shakespeare o Puškin o moderne favole dal forte tono allegorico: un’ibridazione decisamente sorprendente.
The Red Spectacles, come tutto il cinema d’avanguardia di cui è fiero esponente, è un film difficile da comprendere, specie se non lo si mette in stretta relazione con la storia personale di Mamoru Oshii, un regista allora molto giovane che però voleva assolutamente dire la sua senza vincoli o limitazioni di alcun tipo. Nonostante non si stia parlando di un lungometraggio ermetico e virtualmente incomprensibile, il suo ritmo molto lento e l’eccessiva durata di molti dialoghi possono essere un deterrente per buona parte del pubblico; è un’opera che, per quanto metta in evidenza la fretta di Oshii di scrollarsi di dosso l’etichetta del “semplice” regista d’animazione, merita grande rispetto per le sue intenzioni e per l’evidente amore per il cinema che lascia trasparire.
The Red Spectacles è una sorpresa continua, una pellicola di un eclettismo unico nel suo genere.