Famiglie mononucleari e allargate, convivenze, divorzi, separazioni: nella società moderna l’universo familiare si è evoluto, fino a raggiungere soluzioni che appena vent’anni fa sarebbero state inimmaginabili. L’infedeltà, prima accuratamente celata e silenziosamente sopportata, oggi è inaccettabile e combattuta visibilmente sotto gli sguardi di figli e vicini. La sintesi del tema portante di Un Marito A Metà, commedia francese diretta dalla francese Alexandra Leclère, si ritrova nelle parole pronunciate a metà film da Hélène Vincent, l’attrice che interpreta la madre di uno dei personaggi principali: “Secondo le statistiche due coppie su tre conoscono l’infedeltà… personalmente credo che la terza stia mentendo”.
Jean (Didier Bourdon) e Sandrine (Valérie Bonneton) sono sposati da quindici anni e hanno due figli. Una mattina però Sandrine scopre che il marito ha una relazione: da un anno Jean invia bollenti messaggini a una graziosa bibliotecaria, Virginie (Isabelle Carré), ricordando le loro notti di fuoco appena trascorse. Invece di sfociare nella classica battaglia tra moglie e amante, i fili della trama compongono un arazzo sorprendente. Sandrine propone a Virginie un “affido congiunto”: Jean si dovrà dividere equamente tra l’amante e la moglie, alternando le due compagne ogni settimana. Si realizza così apparentemente il sogno di ogni marito fedifrago ma le tensioni inespresse, le aspettative e i reali obiettivi si mescolano tra loro e trascinano Jean in un comico inferno. L’uomo si ritrova ad essere l’oggetto del contendere tra le due donne: una lo vuole riconquistare mentre l’altra desidera averlo tutto per sé definitivamente. Sandrine e Virginie inscenano una serie di esilaranti sotterfugi che rappresentano lo scheletro comico della pellicola. Le reazioni, dapprima entusiastiche e poi sconsolate di Jean, completano il quadro.
L’idea di questo intreccio così particolare non nasce da una geniale epifania: la stessa Alexandra Leclère, regista e sceneggiatrice, svela di aver tratto spunto per la storia da una sua relazione passata. “Qualche anno fa ho vissuto una storia d’amore passionale con un uomo sposato, fino a quando la moglie non ha scoperto la nostra storia grazie a compromettenti messaggini. Io lo amavo talmente tanto da essere pronta a tutto, tranne che a non vederlo mai più. In un ultimo tentativo disperato, gli ho proposto di chiedere a sua moglie se fosse disposta a condividere il suo uomo e lasciarmelo ogni due settimane per sette giorni.” L’epilogo negativo della storia reale è stato ribaltato dalla Leclère, che ha voluto esplorare lo scenario che si sarebbe disegnato nel caso in cui quella moglie avesse accettato.
La pellicola, nonostante funzioni nel complesso, presenta dei difetti nello script, soprattutto nel trattamento dei rapporti umani tra i protagonisti. Per considerare realistico lo strano e altalenante rapporto tra le due donne bisogna infatti presupporre una completa e costante mancanza di sincerità nei gesti, nell’apparente amicizia e nel reciproco aiuto. Diversamente, la relazione sarebbe del tutto impossibile perché non considera le ataviche leggi dei sentimenti e della natura umana: difficilmente una persona divide l’amore della propria vita senza soffrirne profondamente. Questo principio tuttavia non viene specificato dalla sceneggiatura: lo spettatore, per dare un senso al film, lo deve immaginare.
Un Marito A Metà si presenta dunque come una commedia tiepida, che riesce a strappare solo qualche sorriso (complice un plot non sempre brillante e la resa non propriamente comica di alcune scene). Nel lungometraggio, malgrado le nobili intenzioni della Leclère di far divertire il pubblico, non sempre si riscontra il ritmo e la convinzione necessaria. Dichiaratamente privo di un messaggio morale, Un Marito A Metà rimane comunque un buon passatempo per un caldo pomeriggio d’estate: il film uscirà nelle sale italiane il 30 agosto, distribuito da Officine UBU.