Non importa quanta fiducia siamo stati disposti ad accordare al creatore di una serie televisiva, al momento in cui la seconda stagione di un prodotto di qualità viene annunciata è pressoché impossibile sfuggire da quel gorgo di eccitazione e apprensione che ci accompagnerà, se tutto va bene, fino al termine del primo episodio. La stessa cosa è accaduta con Chiamatemi Anna (Anne with an E in originale), che dopo un’ottima prima stagione, torna con altri dieci episodi già disponibili su Netflix dal 6 luglio scorso.
Il primo episodio riparte laddove eravamo rimasti alla fine della scorsa stagione. Costretti a prendere dei pensionanti a causa di improvvise ristrettezze economiche, i Cuthbert vedranno necessariamente venire meno quell’intimità famigliare cui erano abituati da lungo tempo. Tuttavia, se per Anna non sarà di certo difficile aprirsi ai nuovi arrivati, Marilla e Matthew continueranno ad avere le loro riserve e, a modo loro, a tenere sotto controllo i due. Mentre la narrazione non dimentica di seguire le avventure di Gilbert, adesso in viaggio verso Trinidad a bordo di una carboniera, vediamo l’intera Avonlea ribollire di eccitazione per la possibile presenza di oro nel territorio. La febbre che sembra colpire tutti gli abitanti e renderli ciechi di fronte ad alcune coincidenze quantomeno sospette, al solito, non avrà alcun effetto su Anna che, armata di curiosità e arguzia, cercherà nuovamente di risolvere la situazione tra tuffi nel suo doloroso passato, errori commessi spesso in buona fede e nuove, importanti amicizie.
Se, quasi all’unanimità di pubblico e critica, Chiamatemi Anna era già considerata una serie meritevole, certamente grande parte l’ha avuta la sua solida sceneggiatura cui si affiancano, episodio dopo episodio, scelte stilistiche di tutto rispetto. Ma dicevamo, la sceneggiatura. Già sceneggiatrice per Breaking Bad, Moira Walley-Beckett non si lascia intimidire da uno dei romanzi di formazione più famosi e ci presenta un adattamento capace allo stesso tempo di far fede allo spirito del libro e di affrontare con intelligenza ed eleganza molti di quei temi che ancora oggi infiammano e dividono l’opinione pubblica, come l’emancipazione completa della donna, l’accettazione dell’omosessualità come una normale espressione affettiva nonché l’accoglienza e l’integrazione dello straniero.
Laddove punto di forza della prima stagione era l’ampio ventaglio di personaggi ognuno dei quali perfettamente caratterizzato da un ben curato sviluppo psicologico, la nuova stagione conferma l’interesse di Walley-Beckett nel presentare tipi credibili che si muovono tra archi narrativi pregnanti e mai banali. Così, se a prima vista potremmo essere indotti a pensare che i due pensionanti introdotti negli ultimi fotogrammi della stagione precedente si caratterizzino adesso come villain definitivi e quindi impegnare gran parte del tempo scenico, saremo però subito invitati a ricrederci assistendo al perfetto compimento del loro arco per lasciare poi spazio a dinamiche ben più rilevanti.
Decisamente non scevra di un occhio registico coerente e talvolta sofisticato, Chiamatemi Anna conquista ancora una volta per l’attualità dei temi trattati, specie quando questi sono collocati nei confini di una storia che prende le mosse e si sviluppa nei primi decenni del secolo scorso. “You are ahead by a century” cantano i Tragically Hip nella sigla di apertura e non è difficile pensare che il verso si riferisca alla giovane protagonista così progressista nei suoi ideali e atteggiamenti. Piena di meraviglia per ogni spettacolo che la natura le offra, affronta con la stessa purezza le novità che le si presentano nella vita. Talvolta inopportuna, spesso indisponente, ma sempre con un cuore grandissimo, Anna non vede alcuna differenza se il colore della tua pelle è diverso dal suo o se l’amore della tua vita è una persona del tuo stesso sesso. Il suo è un atteggiamento così aperto e genuino che, volenti o nolenti, si finisce per vedere spazzato via ogni mero pregiudizio o ristrettezza mentale dettata dalle circostanze storiche. E come Anna anche altri personaggi condividono i suoi stessi principi e si battono per vedere riconosciuti gli stessi diritti.
Benché tentati di fare di Avonlea un paradiso utopico in cui tutto si muove sotto la calda luce della tolleranza, Walley-Beckett interviene a ricordarci che un luogo del genere non può esistere neppure nella finzione letteraria e, in questo caso, televisiva. Ma finché nel mondo ci saranno delle Anna, o dei fratelli Cuthbert, o dei Gilbert così disposti a combattere le ingiustizie e a cercare di raddrizzare le storture morali di una società dalle vedute ristrette, come spettatori sapremo di non essere soli e che, forse, basta davvero fare anche un piccolo gesto nel nostro quotidiano per vedere, un giorno, un cambiamento più grande.