Un gruppo di universitari, tre ragazze e tre ragazzi, si mette in viaggio per partecipare ad un raduno sportivo. Una di loro ha un motivo affettivo in più: quello di fare una sorpresa alla sorella minore che festeggia il suo sedicesimo compleanno. Mentre stanno percorrendo una strada deserta e assolata, il SUV su cui viaggiano fora una gomma. La vettura sbanda, il conducente rischia di perdere il controllo ma riesce a fermarsi sul ciglio opposto della carreggiata e sembra una vera e propria fortuna che su quel tronco stradale non circoli nessuno e che l’incidente non abbia coinvolto altre macchine, magari con conseguenze ben più gravi. Per raggiungere la statale mancano ancora una quarantina di minuti e la gomma bucata sembra significativamente deteriorata, per questo motivo la prima opzione dei ragazzi è quella di chiamare il soccorso stradale e ripristinare le condizioni di sicurezza dell’auto. In quel punto però i loro telefoni cellulari non hanno campo, quindi i ragazzi decidono di montare la ruota di scorta confidando nella fortuna per i quaranta minuti che li dividono dalla riparazione, consapevoli però che arriveranno in ritardo alla gara. Ma quando la gomma viene smontata si accorgono che a forarla è stato un proiettile. Da questo momento inizierà il loro incubo. Il gruppo di giovani universitari è infatti preso di mira da un cecchino invisibile che spargerà terrore e morte.
Il regista giapponese Ryuhei Kitamura con il suo Downrange firma un’opera probabilmente unica nel suo genere; un thriller-horror che si snoda in un’unica unità di luogo con un set che per novanta minuti è circoscritto in non più di trecento metri quadrati di territorio e che tuttavia non lascia un attimo di respiro grazie al sapiente impiego dei tempi e del ritmo nello spazio dato. Kitamura punta dritto al cuore del suo genere: in Downrange non c’è spazio per i profili psicologici dei personaggi né tantomeno per l’identità del cecchino o le motivazioni che lo spingono ad un “gioco” così crudele. Il film è uno splatter che però rifugge il sensazionalismo e il voyerismo. Il primo obiettivo del regista non è quello di far provare disgusto per le scene molto crude, quanto quello di indurre lo spettatore a “specchiarsi” con la situazione, come a dire che la storia, per quanto paradossale e ai confini della realtà, può essere verosimile per chi la guarda con una sorta di processo identificativo.
I personaggi infatti non hanno precise connotazioni psicologiche o sociali, il regista non fa sapere quasi nulla sul loro passato o sul loro futuro, sui loro programmi, sui loro sogni. I sei ragazzi diventano quasi gli “archetipi” di una possibilità che il destino e la natura malvagia dell’uomo possano riservare a tutti e a ciascuno. Per tutto il resto ci sono la macchina da presa di Kitamura e la sua visione di cinema. La stessa scelta degli attori (Jason Tobias, Graham Skipper, Alexa Yeames, Stephanie Pearson, Ikumi Yoshimatsu, Eric Matushek, Kelly Connaire), che apparentemente non sembra esibiscano il massimo della recitazione – almeno secondo i cliché di genere – non fa altro che rafforzare l’identificazione con essi. Lo stesso dicasi per i dialoghi, specialmente quelli che preparano alla tragedia, privi di quella carica e di quel pathos a volte eccessivi che molto spesso sono usati per introdurre l’horror. In questo modo la crudeltà e lo splatter che mette in scena il regista, il quale contribuisce a firmare anche la sceneggiatura e la produzione, acquista potenza con il passare dei minuti fino al colpo di scena finale. Downrange, presentato al Toronto Film Festival 2017, è disponibile in edizione blu-ray e DVD grazie a Midnight Factory.