Final Space, serie animata di Olan Rogers e David Sacks arrivata un po’ in sordina su Netflix, sembrerebbe il perfetto esempio di come il noto web service sfrutti i big data per produrre internamente nuovi prodotti che cavalchino l’onda di titoli ‘esterni’ di comprovato successo. Nonostante il modello di questa space opera in dieci episodi da 22 minuti sia evidentemente l’acclamato Rick & Morty (e il ben meno recente Futurama di Matt Groening), stavolta Netflix non c’entra niente: ad aver prodotto nel 2018 Final Space – reboot dell’esperimento web del 2010 Gary Space – è stata infatti la pay TV di Warner Media TBS.
È però su Netflix che noi italiani possiamo vedere la storia di Gary, goffo uomo comune che ha dovuto scontare una pena detentiva di cinque anni nell’isolamento dello spazio. Dopo aver passato ognuno di quei giorni solitari nella speranza di ritrovare la bella soldatessa che l’ha arrestato in seguito a un incidente, pochi giorni prima della libertà si imbatte in Mooncake, un tenerissimo alieno distruttore di mondi. Sarà proprio l’incontro con quell’amabile palletta verde a destare le attenzioni indesiderate dello spietato e (quasi) onnipotente Lord Comandante, dalle quali scaturirà un’avventura ricca di colpi di scena e di compagni di ventura.
Final Space è un prodotto di chiara natura derivativa, in cui ogni comprimario sembra incarnare uno stereotipo del genere, ma i cliché che si affastellano soprattutto nelle sue prime puntate servono quasi a far abbassare la guardia allo spettatore in previsione delle pieghe che prenderà la storia più avanti. A differenza delle sue fonti di ispirazione, infatti, lo show di Rogers e Sacks non opta per una trama essenzialmente verticale ma si sviluppa lungo tutta la stagione in modo organico, tanto che ogni episodio si apre con lo stesso flashforward quasi a scandire il costante progredire dell’arco narrativo.
È proprio la trama – e quindi la sceneggiatura – il miglior pregio della serie, nonostante la narrazione venga quasi sempre affidata a luoghi comuni tipici delle space operas: i toni da adventure comedy spaziale piuttosto banali dei primi episodi, tra una citazione nerd e l’altra (da Star Wars a Guida Galattica per Autostoppisti passando per Matrix) si evolvono in modo inaspettato verso un’epica lovecraftiana nonché verso il dramma puro, garantendo un’esperienza di visione a tratti emozionante e sempre capace di incollare allo schermo.
Final Space è già stata rinnovata per una seconda stagione (che avrà il format più tradizionale di classici 13 episodi), ma se non abbiamo idea di come proseguirà la trama, di certo non vediamo l’ora di scoprirlo. Quello che troviamo su Netflix è il perfetto esempio di come l’originalità sia tutt’altro che indispensabile per raccontare una storia di grande impatto; un racconto eccellente dai toni epici in cui però quello che accade sulla grande scala è sempre la conseguenza di quel fragile, irragionevole e importantissimo legame capace di connettere un individuo all’altro.