Anche stavolta, col debutto in sala di Mission: Impossible – Fallout, dobbiamo sorbirci il genio di turno che fa notare con aria sdegnata che si tratta di americanate che non conoscono limiti. Ecco, premesso che la saga non si chiama né Mission: Possible né Mission: Probable, in questa sede possiamo anche evitare di far finta che l’esagerazione sia in qualche modo un problema per il film. Anzi. La proposizione di sfide quasi al di fuori della portata umana è nel DNA stesso del franchise (soprattutto da quando è passato dalle mani di John Woo), ed è proprio questo uno degli elementi che più ha appassionato il pubblico e che ha contribuito a fare di Mission: Impossible la saga cinematografica – senza recasting e reboot – più longeva di sempre (lunga ben 22 anni).
DOPO 22 ANNI DI FRANCHISE, FINALMENTE UN BILANCIO
Fallout si colloca in diretta continuità con Mission: Impossible – Rogue Nation (2015), di cui non a caso mantiene lo sceneggiatore e regista Christopher McQuarrie, e ci fa ritrovare la pericolosa organizzazione nota come Sindacato, ora diventata una sigla terroristica con il nome de Gli Apostoli. Il macguffin da cui prende le mosse la storia è il recupero di un nucleo di plutonio, ma ovviamente non mancheranno irruzioni, assalti, infiltrazioni e inseguimenti di ogni sorta: lo script di questo nuovo installment è infatti a dir poco labirintico – a tratti difficile da seguire – ma in fin dei conti è chiaramente la componente action a prevalere su ogni trama spionistica.
L’Ethan Hunt di Tom Cruise è il volto stesso della saga, e McQuarrie sembra voler approfittare del suo ritorno in quest’universo per dare una profondità vera al personaggio e farne il fulcro di un’espansione finalmente orizzontale, nella quale le pretestuose trame dei vari episodi vanno progressivamente a collegarsi e a delineare finalmente (al sesto capitolo!) i contorni di un extended universe – in linea con la tendenza inaugurata negli ultimi anni dai cinecomic. Tornano i suoi sodali di sempre e le sue donne, ma non manca una new entry di un certo peso (o almeno questa sarebbe l’intenzione del regista): l’agente speciale August Walker, interpretato da Henry Cavill.
HENRY CAVILL È LA PEGGIOR SCELTA POSSIBILE
Se l’ipertrofia degli sviluppi narrativi, la goffaggine degli inevitabili spiegoni e l’incontenibile lunghezza del metraggio (147 – centoquarantasette – minuti) appesantiscono più del dovuto il film, è però proprio Cavill a rappresentare di gran lunga il maggior problema. L’interprete di Superman quando indossa il mantello rosso è piuttosto convincente, ma in questo caso offre un’interpretazione così scadente e risibile da far pensare che la sua sia stata la peggior scelta di casting tra tutte quelle possibili. Come un attorucolo appena arrivato a Los Angeles che spera di farsi largo negli action low budget con il fisico pompato, il sopracciglio aggrottato e qualche posa da modello, Cavill sembra un dilettante allo sbaraglio la cui inettitudine viene amplificata nel confronto con la straordinaria professionalità di tutti gli altri membri del cast. Una presenza inspiegabile che si palesa con una sola espressione sul volto lungo tutto il metraggio e che, più che quella di un agente segreto, sembra raccontare la storia di un modello (col pornobaffo, OITNB docet) finito per caso sul set sbagliato.
MISSION: IMPOSSIBLE – FALLOUT E L’INFLUENZA DI THE AMERICANS
Come detto, fortunatamente ci pensa il resto del solidissimo cast a tenere alto il livello del film, la cui sceneggiatura offre anche molti spunti di grande interesse. Non manca una sagace ironia ad alleggerire l’insieme, più di quanta ne abbiamo vista in passato, ma è la trama politica a farla da padrona, e nello specifico l’idea stessa di cosa sia una spia. Il McQuarrie autore sembra far tesoro dell’evoluzione avuta dall’immaginario collettivo negli ultimi anni, e attingendo direttamente dalla serialità televisiva (dal meraviglioso The Americans in particolare) riscrive la figura della spia IMF, ritraendola come un ibrido tra un militare in borghese e un faccendiere che è disposto a ogni bassezza e immoralità pur di ubbidire ciecamente agli ordini dei propri capi, spesso sottovalutando le conseguenze delle proprie azioni. La ‘ricaduta’ del titolo è l’eterogenesi dei fini, sono le conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali. «The fallout of your good intentions», spiega il villain a Ethan Hunt.
GLI INSEGUIMENTI MIGLIORI DAI TEMPI DI MAD MAX: FURY ROAD
Se non manca la profondità narrativa, è però l’azione a farla da padrona – per la gioia del pubblico cinese cui si rivolge la coproduzione di Alibaba. Estrema, folle, over the top – basti pensare che a un certo punto assistiamo a un inseguimento con tanto di speronamenti tra due elicotteri, quasi fossimo tornati agli 007 di Pierce Brosnan. Eppure mai come ora McQuarrie fa sfoggio di un talento mostruoso nel girare le scene d’azione: la sua padronanza delle inquadrature, dei movimenti di macchina, dei ritmi, delle dinamiche e la sua supervisione al montaggio ne fanno uno dei più grandi talenti al mondo nel mettere in scena l’azione. Non siamo neanche lontanamente ai livelli di quel capolavoro action che è Mad Max: Fury Road, ma è da quella pellicola del 2015 che non vedevamo degli inseguimenti così ben girati.
In conclusione Mission: Impossible – Fallout è un blockbuster necessariamente lontano dai toni da spy movie sofisticato dell’indimenticabile primo capitolo di De Palma, ma d’altronde sono passati più di due decenni ed è il cinema stesso ad essere cambiato. McQuarrie si impegna con tutte le sue forze a far coincidere una grande sforzo di tridimensionalità sui personaggi con la grandiosità adrenalinica di un film che ha il piede continuamente premuto sull’acceleratore. Il risultato ha i suoi problemi – primi tra tutti la lunghezza e l’eccessiva complessità degli intrighi – ma è in fin dei conti una scommessa vinta. Dopo 22 anni e 6 capitoli, i grandi cambiamenti introdotti all’identità del franchise sembrano potergli garantire ancora anni di freschezza – ed è un risultato tutt’altro che trascurabile. Grazie al lavoro di McQuarrie, viene da pensare che finché Tom Cruise avrà le forze per risultare credibile (e ne ha ancora da vendere), questa saga di Mission: Impossible avrà un solido futuro. I 515 milioni di incasso worldwide (in crescita) per un budget di 178 milioni lo confermano.