Mr Long viene dalla 67° Berlinale, e tale constatazione basterebbe tanto a destare l’interesse dei cinefili quanto a far suonare qualche campanello d’allarme. Se la fin troppo lunga esperienza di Dieter Kosslick alla guida del festival tedesco ci ha insegnato qualcosa, infatti, è a guardare con un certo sospetto le pellicole che provengono da quella che è una delle più importanti kermesse del mondo. Se non mancano (soprattutto dalle sezioni secondarie) lavori straordinari e se va comunque riconosciuto al direttore tedesco il merito di aver portato alla nostra attenzione cineasti che si sono rivelati tra i più talentuosi della nuova generazione, è pur vero che la manifestazione ha sempre concesso molto spazio anche a un cinema che – più che essere d’arte – ha stucchevoli velleità artistoidi; caratterizzato da una furba ruffianeria studiata per compiacere le giurie ma che non ha nessuna possibilità di convincere il pubblico che i film li va a vedere al cinema.
Mr Long non solo si colloca in modo più che convincente in quest’ultima categoria, ma pecca anche di una realizzazione che – con buona pace dell’accoglienza osannante di una certa critica – ha delle lacune tecniche a dir poco macroscopiche. Questo nonostante dietro la macchina da presa ci sia l’apprezzatissimo Sabu (al secolo Hiroyuki Tanaka), uno dei nomi più celebrati della settima arte nipponica contemporanea.
Qualcuno potrebbe provare a vendervi Mr Long come la storia di un killer professionista (prova a farlo lo stesso Sabu nei primi 10 minuti di film), ma sappiate che non potrebbe esserci premessa più fuorviante: nonostante l’intrigante vestito da thriller con cui viene promosso il film, infatti, la quasi totalità del suo metraggio (circa due ore reali, cui corrispondono una decina di ore percepite) è dedicata a raccontare una serie di episodi completamente anticlimatici che accadono nel periodo in cui l’assassino che dà il titolo alla pellicola si nasconde da una gang criminale determinata a ucciderlo. Con un’inversione a U il film infatti diventa presto un titolo quasi muto in cui si raccontano le lunghe giornate spese dal signor Long a cucinarsi minestre per strada, finché non diventa amico del piccolo figlio di una drogata e da lì – con delle forzature a dir poco ridicole – diventa inspiegabilmente l’idolo di un gruppo di idioti e, pur restando un bel tenebroso, intraprende una carriera di cuoco di strada (avendo come clienti gli stessi idioti).
Come accade con la colonna sonora, la cui interessante commistione di disco e sinfonica dell’apertura lascia presto spazio a dei goffi pizzicati da Giffoni d’antan, la pellicola cambia musica già dopo mezz’ora. Ed è proprio lì, quando entrano in scena le figure archetipiche de “il bambino” e “la donna”, che un abuso incontrollato di cliché rende lapalissiano il finale che arriverà solo 90 minuti dopo. Novanta lentissimi minuti infarciti di stereotipi, caratterizzazioni gigionesche e sviluppi di trama degni di una telenovela.
Culmine ideale di un tale percorso di delusione è la scena dello ‘scontro finale’, in cui il film abbandona improvvisamente i toni letargici e dove ogni ‘cattivo’ possibile si coalizza senza un vero perché, per una resa dei conti uno contro tutti all’arma bianca. Le pistole ovviamente i villan le tengono nella fondina: perché mai degli spietati malviventi dovrebbero usarle contro un ex killer professionista che fa fuori con un coltellino svizzero uno dopo l’altro degli antagonisti armati di bastoni?
Così, uno showdown che vorrebbe ricordare la memorabile scena del corridoio di Old Boy finisce per risultare una fonte involontaria di fragorose risate, in cui regia e montaggio danno il loro peggio – coadiuvate da una coreografia di combattimento che prevede tanto di pugno in testa (con annessa caduta plateale) alla Bud Spencer.
Quando si potrebbe pensare che ormai Mr Long abbia toccato il suo momento più basso, arriva però la scena di chiusura del film, in cui gli stolti campagnoli sembrano dei clown da circo il cui scopo è bloccare il traffico della metropoli al solo scopo di far avvenire l’immancabile momento strappalacrime nel bel mezzo di un’arteria trafficata (perché fare altri due metri e raggiungere il marciapiede avrebbe avuto troppo senso).
Mr Long – dal 29 agosto nei nostri cinema con Satine Film, che in genere non sbaglia un titolo – è un lavoro che ha avuto una buona (se non ottima) accoglienza, e quella che state leggendo è una delle pochissime voci fuori dal coro. Rimane il fatto che è con convinzione totale che ribadiamo come lo stucchevole autorialismo (che nulla ha a che fare con un ‘vero’ film d’autore), la scrittura caricaturale, le terribili scelte di regia e sceneggiatura, e la realizzazione tecnica a volte grossolana facciano di quest’opera di Sabu un lavoro mal concepito e realizzato. L’intento narrativo è chiaro: imbastire un racconto sui generis su come sia impossibile scappare dai propri errori, e su come sia comunque doveroso provarci. Ecco: Sabu impari da questo film, e la prossima volta provi a impegnarsi in un progetto meno ruffiano e confuso.