La Favorita (titolo originale The Favourite) è forse il titolo più rischioso della carriera di Yorgos Lanthimos, perché se è vero che il geniale regista greco ha già una volta affrontato una grande sfida passando da pellicole elleniche a bassissimo budget a produzioni statunitensi in lingua inglese e con attori di fama, questa è (quasi) la sua prima volta senza i suoi collaboratori di sempre – quelli che hanno contribuito in modo decisivo a decretarne il successo.
La storia di La Favorita, presentato in concorso alla 75. Mostra del Cinema di Venezia e nelle nostre sale dal 24 gennaio, è ispirata a personaggi reali e vede come suo fulcro la decadente corte settecentesca di Anna Stuart (una clamorosa Olivia Colman), Regina di Gran Bretagna.
La sovrana vive distaccata dal mondo, sempre sospesa tra improvvisi entusiasmi e crisi di pianto, e tanto disinteressata dal Paese che guida da non sapere nemmeno se è in guerra. Al suo fianco, a fare da consigliera politica e confidente intima, vi è la Duchessa di Marlborough (Rachel Weisz): l’unica ad avere un rapporto privilegiato con l’eccentrica regnante; almeno finché un giorno non arriva a corte Abigail (Emma Stone), la cugina della duchessa nonché una cameriera scaltra, manipolatrice, e determinata a guadagnarsi le attenzioni della regina per migliorare la propria condizione sociale.
CON LA FAVORITA LANTHIMOS CAMBIA SCENEGGIATORE E CAMBIA STRADA
La prima lapalissiana differenza rispetto alla straordinaria filmografia pregressa di Yorgos Lanthimos è l’assenza della cifra surrealista. Infatti, sia nei suoi lavori in lingua greca (Kinetta, Kynodontas e Alpeis) che in quelli statunitensi (The Lobster e Il Sacrificio del Cervo Sacro), il cineasta sembrava partire sempre da una premessa legata alla riscrittura immaginaria di convenzioni sociali, che si coloriva di metafisico per i titoli d’Oltreoceano. Stavolta niente di tutto questo: la componente surrealista della sua poetica viene meno, sostituita però da un’insistita sottolineatura del grottesco che pervadeva le corti settecentesche – e che di fatto instaura una dinamica non troppo diversa da quella dei primi film ellenici.
A decretare una tale marcatissima differenza vi è l’assenza di Efthymis Filippou, uno dei più geniali sceneggiatori oggi su piazza nonché braccio destro di Lanthimos dai tempi di Kynodontas, al cui posto troviamo Deborah Davies e Tony McNamara – un’esordiente e un signor nessuno. La collaborazione del regista greco con lo stesso gruppo creativo con cui aveva iniziato (compreso il direttore della fotografia Thimios Bakatakis) era perdurata fino a The Killing of a Sacred Deer, tanto che era difficile distinguere i contorni del cineasta da quelli del suo co-autore di fiducia (soprattuto perché Filippou, in altre pellicole come ad esempio Chevalier di Athina Tsangari, riproponeva gli stessi ingredienti degli script per Lanthimos).
UN LINGUAGGIO DI MACCHINA INCREDIBILE PER UNA STORIA ESILARANTE E AMARA
Con La Favorita possiamo iniziare ad avere le idee più chiare nel giudicare il Lanthimos regista, e se il copione – seppur profondamente diverso dai titoli precedenti – funziona magnificamente ed è caratterizzato da un’ironia pungente e pervasiva che non ha precedenti nella filmografia del greco; il linguaggio di camera dell’autore ateniese ripropone le stesse inarrivabili vette conseguite nell’opera precedente, con uno sguardo peculiarissimo e tecnicamente mostruoso fatto di scelte coraggiose e movimenti complessi, tra grandangolari estremi (reminiscenti degli specchi convessi nei dipinti cinquecenteschi dei Fiamminghi o del Parmigianino), prospettive ardite (perlopiù dal basso), composizione inusuale e carrellate che agganciano il soggetto per poi allontanarsene, come in un minuetto (le cui note accompagnano spesso le scene).
L’impeccabile fotografia digitale di Robbie Ryan si regge interamente sull’illuminazione naturale degli ampi finestroni che inondano di luce neutra gli ambienti o sui bassi kelvin della flebile luce delle candele, affidandosi a un mai fastidioso split toning (basse luci virate al blu e alte luci virate al giallo) per dare carattere all’insieme. Il montaggio di The Favourite è affidato a Yorgos Mavropsaridis, editor storico di Lanthimos di cui evidentemente il regista non ha saputo fare a meno, che dimostra un incredibile talento nel reinventarsi e nel proporre ritmi infinitamente più incalzanti rispetto al passato e un uso ardito della dissolvenza – che la farà da padrone in un finale che si staglia già nella storia del cinema.
In conclusione La Favorita è un titolo entusiasmante, divertentissimo, spietato e girato con tutto l’incontenibile talento di Lanthimos – per quanto si collochi in una posizione difficilmente paragonabile con la sua filmografia pregressa. Interpreti d’eccellenza (su tutte un’indimenticabile Colman) per una storia di donne che non teme di ritrarre anche la fredda spietatezza della manipolazione, e che relega gli uomini in secondo piano, trasformando di fatto anch’essi in figure femminili. Un lavoro che ci auguriamo – a partire da Venezia – abbia il più felice dei percorsi nella stagione dei premi e che, nonostante possa sembrare ai più distratti una svolta dell’ultimo minuto, viene da lontano (annunciato nel 2015, nasce in realtà nove anni fa, ai tempi del successo festivaliero internazionale di Dogtooth). E poi, la citazione esilarante e amarissima di The Lobster varrebbe da sola il prezzo del biglietto.