Due mondi dominati dagli uomini vengono rimessi in discussione dalle donne in Pearl, lungometraggio presentato alla 15. edizione delle Giornate degli Autori (sezione collaterale della 75. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia): il cinema, dato che la pellicola è diretta dall’emergente Elsa Amiel (cineasta che ha lavorato in passato come assistente della regia a fianco di autori come Bertrand Bonello, Noémie Lvovsky e Mathieu Amalric), e il bodybuilding.
LA VITA DI UNA BODYBUILDER VIENE SCONVOLTA DALLE SUE VICENDE PERSONALI
Lèa Pearl, interpretata da Julia Föry, è una bodybuilder (l’attrice che interpreta il personaggio lo è anche nella vita reale), allenata da Al (interpretato da Peter Mullan), che deve affrontare la sfida di un torneo europeo di bodybuilding, l’Heaven Contest: proprio negli ultimi giorni che precedono l’evento si ripresenta il suo ex marito Ben (Arieh Worthalter) accompagnato dal loro figlio di 6 anni, Joseph, che lei non ha mai conosciuto perché li abbandonò proprio quando il bambino nacque. La presenza dei due crea parecchio scompiglio all’interno della coppia Lèa-Al (quest’ultimo è anche l’amante della bodybuilder), rendendo la vittoria dell’evento per nulla scontata.
PEARL È UN FILM INTELLIGENTE SU UN MONDO ECCESSIVAMENTE STEREOTIPATO
La scelta di ambientare il film nel mondo del bodybuilding con una culturista donna come protagonista è una scelta per nulla casuale; anzi, durante la visione del lungometraggio si capisce come la regista abbia voluto utilizzare questi elementi per raccontare il tema dell’alienazione del proprio io per fuggire dai propri doveri e per inseguire un determinato scopo a tutti i costi. Il fisico mascolino di Léa può essere considerato come la metafora della metamorfosi di una donna che ha deciso di lasciarsi tutto dietro le spalle che, pur di dimenticare il passato, si dedica ad una professione che annulla di fatto la propria femminilità (nel film lei fa anche uso di ormoni e steroidi). Il rapporto tra Al e Léa riprende molto il concetto nipponico di senpai e kohai (maestro ed allievo), solo che, a differenza dei giapponesi (che esaltano al massimo il sacrificio anche nelle proprie produzioni cinematografiche e televisive), qui ci si pone su un piano completamente opposto.
A livello tecnico la Amiel riesce a portare con successo la propria esperienza pregressa come assistente alla regia, usando efficacemente tecniche registiche come il ralenti durante le scene del torneo (anche le luci sono sfruttate benissimo) e il sonoro, che rende più esaltanti le performance dei culturisti. Nonostante la propria inesperienza come attrice, Julia Föry offre un’interpretazione convincente (che non ha nulla da invidiare a quella di molte attrici di professione), aiutata anche da un’ottimo Peter Mullan.
In conclusione, Pearl è un lungometraggio che ha il merito di trattare il bodybuilding senza scadere nello stereotipo muscoli/manubri e il tema della maternità da un punto di vista completamente differente dai soliti meccanismi retorici, dimostrando come il talento dietro la macchina da presa non abbia distinzioni di genere.